Volete farvi un ripasso della storia italiana (anzi: siciliana) del Seicento?? Volete leggere un thriller che è anche un noir e che è anche un’avvincente storia d’amore, di sesso & potere, di cappa & spada?
Il convento dei segreti di Giada Trebeschi (Newton Compton 2022) è una conferma della qualità della scrittura e dell’ampiezza di contenuti di questa scrittrice/editrice/studiosa/influencer poliedrica e attivissima. Giada ci aveva già conquistati con i suoi thriller storici che vanno da La dama rossa (2012) a La bestia a due schiene (2020) e quindi non è con stupore che salutiamo questa sua nuova prova, che tuttavia ci sorprende per l’attualità delle tematiche e per la forza di carattere della protagonista.
Siamo a Catania nel 1669 e una giovane donna viene costretta a farsi monaca di clausura. Ma questo è solo l’inizio. Fidatevi, nonostante la location (un convento, appunto, dunque un’ambientazione al 90% femminile) la trama è così noir che perfino l’attrazione fisica per un uomo diventa noir, anzi fa quasi scomparire di vergogna le descrizioni delle dark ladies nell’hard boiled più noir:
Lo guardò ma non vide il bel viso sfregiato da una cicatrice sulla guancia sinistra, non vide la barba corta e nerissima che esaltava l’ovale del volto, non notò il luccichio del cerchio dorato che aveva all’orecchio sinistro e non si accorse nemmeno del codino di capelli corvini, no, non riuscì a vedere altro che i tizzoni che Giorgio aveva al posto degli occhi.
Qua è là, poi, ci sono poi piccole perle, come l’accenno alle nuove spezie che giungono dal Nuovo Mondo (la vaniglia, i semi di cacao…) e i simpatici rimandi intertestuali (“La sventurata sorrise”), per non parlare dei colpi di scena, in cui Giada è veramente maestra, e del valore sociologico, psicologico, identitario e anche simbolico di questo romanzo che non a caso mi ha ricordato le atmosfere intense di Magnificat di Pupi Avati. E poi, ogni tanto, un’incursione dalla nostra contemporaneità, che crea un cortocircuito fra passato e presente – come l’inserimento di un qr code per ascoltare una canzone e vedere la “storia dipinta” di una serenata (chapeau a Giorgio Rizzo, collaboratore di Giada (Le parole desuete e dintorni). E incomparabile la Nota dell’Autrice, che ci riporta al rigore della ricerca.
Lo stile è quello di sempre, o forse no. In realtà questo è un libro che va letto col ritmo del respiro – in fretta, in alcune sue parti; più adagio, come una litania, in altre. L’introspezione psicologica è radicale, quasi bruciante. Impossibile non immedesimarsi. Già il primo capitolo ci afferra, ci scuote e ci fa prendere posizione.
Impossibile non divorarlo, questo romanzo. Impossibile restare neutrali. E mentre scorriamo la vicenda di Agata Maria alias suor Immacolata, pagina dopo pagina, riga dopo riga, parola dopo parola, ci scorre sotto gli occhi la storia e la storia delle donne, piccole storie di stupri di violenze di pianti di preghiere di torte di fughe e di insperate sorellanze.
(a.c.)
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