Un pianeta piccolo piccolo : Storie di culture intrecciate / a cura di Alessandra Calanchi ; postfazione di Ben Pastor. – Scapezzano : Ventura Edizioni, 2022. – 168 p. – (Parole madri). – ISBN 979-12-80517-53-1
La parola ai giurati (12 Angry Men) è un film del 1957 diretto da Sidney Lumet. La vicenda si svolge quasi completamente nella sala dove sono si riunisce la giuria che deve decidere riguardo alla colpevolezza di un giovane accusato di essere l’assassino del padre. Poiché in casi come questi il verdetto deve essere unanime, e all’inizio 11 giurati si dichiarano a favore della colpevolezza, segue una discussione che invece di portare all’unanimità porta progressivamente a dubitare cosicché alla fine il risultato è capovolto e al giovane (innocente) viene risparmiata la sedia elettrica.
Conoscevo bene questo film quando ho avuto tra le mani un romanzo di argomento analogo e dal titolo intrigante, ma che non conoscevo affatto: Un colpevole in giuria, che ho scoperto trattarsi della traduzione italiana di Murder by Jury di Ruth Burr Sanborn (1932) a opera di Paola de Camillis Thomas. Tanto di cappello alla traduttrice e anche a quella infaticabile talent scout che è Tiziana Elsa Prina, la fondatrice delle Edizioni Le Assassine.
Il romanzo (scritto da una donna, è bene ripeterlo) precede di oltre vent’anni il testo originale da cui è tratto il film di Lumet, un testo scritto per la TV da Reginald Rose nel 1954. È ambientato in America, precisamente a Sheffield, in Alabama, nel periodo del Proibizionismo e della Grande Depressione. Non è l’unico argomento a suo favore: la trama è avvincente, con colpi di scena che si succedono fino all’ultimo, e il congegno narrativo è ottimo ed efficace. In questo caso è una donna a essere accusata ingiustamente, così come è una donna (una giurata) a insistere sulla necessità di non commettere giudizi affrettati, ed è ancora una donna a essere assassinata durante la riunione della giuria.
Un romanzo che valeva certamente la pena di recuperare dall’oblio, tradurre e far conoscere al pubblico di lettori e lettrici, e che può rivelarsi estremamente interessante anche per gli esperti di scienze forensi e per gli studiosi di cultura americana. Forse una breve introduzione o postfazione sarebbe stata la ciliegina sulla torta, anche per sottolinearne sia la carica innovativa in rapporto al film di cui sopra, sia la legacy rispetto a un altro importante racconto, “A Jury of Her Peers” (“Una giuria di sole donne”) di Susan Glaspell (1918), che già testimoniava l’importanza dello sguardo femminile nelle indagini poliziesche, nei procedimenti legali e nelle aule di tribunale.
Leonardo Sciascia Con una introduzione di Eleonora Carta Letteratura Graphe Perugia 2022 Pag. 43 euro 6,50
Pianeta umano, da millenni. Occidente, da quasi due secoli. “La principale ragione per cui un pubblico vastissimo, in ogni parte del mondo, legge (sarebbe dir meglio consuma) romanzi polizieschi (“gialli” in Italia, “neri” in Francia: dal colore della copertina che gli editori Mondadori e Gallimard hanno scelto nel momento in cui il poliziesco diventava un genere a sé) …” potrebbe essere trovata in una frase di Alain rintracciabile nel Sistema delle arti (Alain era lo pseudonimo del filosofo e giornalista francese Émile-Auguste Chartier, 1858-1951), oppure in riflessioni di Marx e Freud, sintetizzabili in breve. “Nei romanzi del genere sono impiegati senza precauzione – senza la precauzione, cioè, che è dell’arte – dei mezzi che con notevole approssimazione si possono definire di terrore: e l’effetto è fuga di pensieri, meditazione senza distacco. La lettura di un poliziesco è, nel senso più proprio della parola, passatempo: il tempo non più portatore di pensiero o di pensieri, non più scandito da condizioni e condizionamenti, è come sommerso in una fluida e opaca corrente emotiva …”. Questo è l’incipit del ragionamento di Leonarda Sciascia sul settimanale Epocadel 20 settembre 1975, proseguito nel numero successivo e ripubblicato come saggio di una raccolta di scritti del 1998 (se ne possono rintracciare un paio di versioni quasi identiche). Con tale premessa Sciascia individua già all’interno della Bibbia il primo racconto poliziesco, ingredienti identici a quelli a lui contemporanei, per un genere le cui origini più vicine e precise possono essere anche tecnicamente distinte in Edgar Poe. La traccia di ragionamento è stata ribadita da decine di autori, recensori e studiosi in centinaia di pezzi, più o meno giornalistici, solo aggiornando i termini. Il siciliano europeo Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) fu presto appassionato anche di letteratura di lingua angloamericana, avido lettore degli scrittori popolari e, tra essi, sia dei grandi del cosiddetto giallo classico di fine Ottocento e primi Novecento che degli autori della nuova scuola hard-boiled, a partire dal capostipite Dashiell Hammett, da cui poi il genere sarebbe divenuto anche noir per la carica di denuncia e di prefigurazione (propria anche di molti romanzi di Sciascia). L’autore è una lettura imprescindibile soprattutto per chi ama scrivere: si gode, si pensa e s’introietta pure uno stile chiaro e limpido. Nel 2021 sono stati numerosi i volumi, le mostre e gli eventi che gli sono stati dedicati in tutt’Italia per il centenario della nascita. Fra di essi possiamo considerare la riedizione di questo breve significativo testo giornalistico di storia della letteratura. Lo schema di ragionamento era un buon cliché già cinquant’anni fa, pur argomentato in modo colto e sincero: il poliziesco come genere minore di puro intrattenimento. Valeva e vale spesso come premessa alla disanima personale di cosa sia alta letteratura di pensiero, nel caso (non solo) di Sciascia come esperienza di scardinamento del genere e testimonianza di un “altro” modo di scrivere polizieschi. In realtà, la dialettica risale indietro (più o meno ai tempi della Bibbia) e merita di essere rivalutata a partire da Sciascia, come opportunamente fa Eleonora Carta nell’introduzione, nella quale l’autrice sottolinea come comunque Sciascia “celebra” il genere e, in qualche modo, “riabilita” la propria conseguente passione, forse anche per codificare regole che i propri gialli cercarono di sovvertire, scomporre, rovesciare. Nella sua “storia” Sciascia tratta Poe, Conan Doyle, Van Dine, Freeman, Agatha Christie, Hammett, Chandler, cita brevemente altri esemplari colleghi e ricorda, a contrasto, solo Greene, Bernanos, Gadda (e Borges) fra “i grandi scrittori” a lui recenti, “che, per divertimento o congenialità, hanno scritto dei gialli”. In fondo utile la cronologia della vita di Sciascia e l’indice dei nomi di persona e dei titoli citati.
Al Palazzo Ducale di Urbino sabato 18 giugno ore 17, incontro e dialogo sull’ultimo libro di Luca Sartori, Hai tutta la morte davanti di Aras edizioni, 2021, ne parlano con l’autore Gian Italo Bischi, Alessandra Calanchi, Gianni Darconza, Tiziano Mancini.
Alla presenza di un pubblico interessato e curioso, ieri sera al teatro Sanzio di Urbino, Gabriele Cavalera ha intervistato Gianrico Carofiglio sulla più recente attività letteraria dello scrittore barese. La lunga e piacevole chiacchierata ha fatto luce anche sul modus operandi del romanziere, i suoi personaggi e interessanti aneddoti della sua biografia. Al termine della serata anche Urbinoir ha voluto offrire il proprio contributo consegnando a Carofiglio, dalle mani di Gianni Darconza e a nome di tutto il gruppo, una targa quale riconoscimento del suo impegno nella fiction di investigazione e per la qualità della sua scrittura.
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