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Cristina Brondoni, Le case dei serial killer (Clown Bianco 2022)

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Ho sempre amato le case della letteratura e del cinema, soprattutto quelle stregate dei romanzi gotici e dei film dell’orrore, ma anche quelle della crime fiction, dove i delitti avvengono preferibilmente nella “camera chiusa”. Intitolai la mia tesi di dottorato Quattro studi in rosso (Il Ponte Vecchio 1998) ed era dedicata allo studio del protagonista della Donna in bianco di Wilkie Collins, al salotto di Sherlock Holmes (a. Conan Doyle), alla soffitta di Dorian Gray (O. Wilde) e naturalmente al laboratorio del dott. Jekyll (R.L.Stevenson). Quanti ricordi! All’inizio di ogni capitolo avevo inserito la piantina delle rispettive case, pazientemente ricostruita attraverso letture su letture e voli di fantasia, non potendo usare metodi più scientifici.

Forse per questa ragione, forse per altre, ho trovato interessantissimo il volumetto di Cristina Brondoni (giornalista, criminologa e amica del cuore di Urbinoir) Le case dei serial killer (Clown Bianco 2022). Qui non si tratta di personaggi letterari ma di persone in carne e ossa, ma il fascino esercitato dalla casa – dalle sue pareti, dalla sua conformazione, dalla sua posizione nel quartiere, dai colori e dai rumori – è identico. 

Sappiamo bene da anni e anni di frequentazioni cinematografiche che la casa non è il luogo sicuro che vorremmo, e sappiamo altrettanto bene che i confini tra realtà e immaginazione sono labili e transitori. Di conseguenza, addentrarci nel mondo domestico dei “mostri” non ci trova del tutto impreparati. E Brondoni, che spazia dall’800 ai giorni nostri, è una guida sopraffina e competente, mai sazia di rivelarci particolari e di sollecitare la nostra curiosità senza mai cadere nella morbosità e nella mancanza di rispetto per le vittime.

Un pregio ulteriore: le immagini (alcune perfino a colori). Una dimenticanza: l’indice, che aiuterebbe a ritrovare nomi e luoghi a una seconda lettura. Sì, perché leggerlo una volta sola non vi basterà.

a.c.  

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Le case dei serial killer di Cristina Brondoni 

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Prevista per il mese di maggio 2022 l’uscita del saggio di Cristina Brondoni Le case dei serial killer, edito da Clown Bianco Edizioni.

Ne parliamo con l’autrice.

Urbinoir: Cristina, tu sei autrice di due romanzi e di alcuni saggi, fra cui uno uscito nella nostra collana “Urbinoir studi” sullo staging (Sembrava un incidente. Staging sulla scena del crimine, 2018). Da cosa nasce l’esigenza di questo nuovo volume?

CB: Il libro è nato da una mia idea mentre riflettevo su quanto siano simili alle nostre le case di alcuni serial killer. E su quanto, invece, altre abitazioni assomiglino più a tane, rifugi, prigioni che a case vere e proprie. Eppure ci vivevano persone che, dall’esterno, sembravano normali. Tanto che i vicini di solito rispondono: ‘salutava sempre’. Così ho fatto una ricerca e ho trovato tantissimo materiale.”

Urbinoir: Ma perché proprio sulla casa?

CB: Non solo e non tanto sulla casa in sé e sui crimini che il serial killer ha commesso, ma sul tipo di immobile, sulle storie precedenti e successive l’arresto del killer e magari anche sui nuovi proprietari. Sono partita dall’idea che la casa è uno dei must dei film horror da Non aprite quella porta a Amityville passando per Shining (anche se era un hotel, ma veniva usato comunque come casa), The Others e The Conjuring. La casa è il luogo per eccellenza dove dovremmo essere al sicuro. E i serial killer che hanno ucciso nelle loro case, in effetti, si sentivano particolarmente al sicuro. Ho preso in esame 21 casi, italiani e stranieri, piuttosto diversi tra loro sia per il tipo di serial killer che per i tempi e i modi dei delitti. E, soprattutto, per la differenza di abitazioni. Ogni caso è accompagnato da una o più fotografie a colori a corredo del testo.

Urbinoir: Come definiresti la tua scrittura? Il tuo target sono gli addetti al lavoro o è un libro per “tutti”?

CB: La scrittura è agile in modo da risultare un saggio da consultazione per chi voglia saperne di più sull’argomento. La copertina è piuttosto pop: un vecchio frigorifero con l’anta di metallo su cui sono attaccati stickers e calamite. E su cui è ben visibile una macchia di sangue che cola. La scelta è caduta sul frigorifero perché la editor/editrice, Vania Rivalta, è rimasta colpita dalla cucina di Dennis Nilsen, uno dei serial killer. Sulla vecchia cucina economica bianca c’era un pentolone in cui bollivano delle ossa umane. Ma sul forno era attaccata una decalcomania di una farfalla: l’unico tocco di normalità, anche un po’ fanciullesca, in una vita sconvolta dalla necessità di uccidere, tra l’altro per avere compagnia, poiché Dennis era così timido e incapace di relazionarsi con gli altri che li preferiva morti, in modo da non subire la minaccia anche solo di una conversazione.

Urbinoir: Nell’attesa di leggerti, e di averti nostra ospite all’edizione 2022 di Urbinoir (“Donne in Noir: le protagoniste della crime fiction contro la violenza e la discriminazione”, 24-26 novembre) hai voglia di raccontarci uno, o più, tuoi progetti futuri?

CB: Mi piacerebbe molto organizzare un seminario / corso / incontro sugli “Amori da film”. Gli amori da film sono quelle storie che poco o nulla hanno in comune con gli amori veri. Si tratta, spesso, di storie tormentate, difficili, impossibili che, infatti, riescono a reggere due ore di pellicola tra andate e ritorni violenti (per citare Ligabue), scossoni indicibile e l’immancabile tragedia che rende i protagonisti (due che volevano solo fare sesso) eroi moderni. Nella vita di tutti i giorni si suppone che l’amore dovrebbe essere qualcosa di rilassante che permetta, nella più classica visione darwiniana, la sopravvivenza della specie. Se l’amore diventa una sorta di lotta, se non di guerra, la sopravvivenza della specie è in serio pericolo. Grazie ai social (e a chi pubblica qualsiasi cosa riguardo a sé stesso) è possibile seguire storie comuni di amori tormentati. Spesso fino alla tragica evoluzione.
O, meglio, andando a ritroso: quando la tragedia è compiuta è possibile ripercorrere all’indietro le tappe social che si sono susseguite in una sorta di cronaca di una morte annunciata (ora la smetto con titoli e citazioni).

Urbinoir: Ti ringraziamo e speriamo di riuscire ad accogliere la tua proposta, che ci sembra molto interessante… magari in preparazione appunto di Urbinoir 2022. A presto allora!

(a.c.)

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INTERVISTA A CRISTINA BRONDONI

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CRISTINA BRONDONI, giornalista, crimonologa e autrice del podcast “CRIME MAGAZINE: SERIAL KILLER”

https://podcasts.apple.com/it/podcast/crime-magazine-serial-killer/id1498355513 

Il podcast “Crime Magazine: Serial killer” è nato un paio di anni fa, praticamente pochi giorni prima del primo lockdown, perché con Sara Uslenghi, amica e giornalista di Wired Italia, quando ci incontriamo parliamo solo di serial killer e morti male vari. Così lei ha proposto di fare un podcast di questi incontri, davanti a un tè e a un tramezzino.

Il primo episodio, su Ted Bundy ovviamente, è andato molto bene. E ci siamo divertite molto. Così abbiamo proseguito. Durante i lockdown abbiamo registrato da remoto, l’audio non è dei migliori, ma gli ascoltatori sono stati contenti comunque e ci perdonano anche la scarsa professionalità dei mezzi, compensata però dalle basi scientifiche e forensi da cui partiamo per parlare degli omicidi.

A oggi gli episodi sono 24 e spaziano dai serial killer veri e propri, come Ted Bundy (il mio preferito), Jeffrey Dahmer, Dennis Nilsen, Leonarda Cianciulli (la preferita di Sara), Fred e Rose West, Mary Bell (la più giovane serial killer: era una bambina quando ha ucciso), a casi particolari, come per esempio la sindrome di Munchausen per procura, l’uso di veleno per uccidere i colleghi di lavoro, il gaslighting, le amicizie tossiche, l’invidia che fa uccidere.

Gli argomenti vengono scelti di volta in volta in base all’ispirazione del momento o a specifiche richieste. Ci siamo infatti accorte, grazie ai messaggi e ai commenti che gli ascoltatori ci inviano sulla pagina Instagram di Crime Magazine, che gli episodi che hanno uno sfondo sociale, come per esempio il bullismo, lo stalking, il mobbing, riscuotono molto interesse: non fosse che alcuni ascoltatori ci portano le loro storie personali. A volte molto toccanti.

Negli episodi evitiamo di scendere nei dettagli scabrosi, non ci interessa indugiare sulla parte morbosa del crimine, a noi interessano le indagini, i moventi e le motivazioni, le storie di vita dei protagonisti (sia le vittime sia gli autori di reato). Abbiamo un modo di parlare pacato e per noi non esistono mostri, non esistono i cattivi cattivi. Anche se a volte usiamo parole piuttosto colorite per definire chi ha fatto il male. Ted Bundy, per esempio, era un bastardo.

Per qualche tempo, durante il lockdown, il podcast è stato nelle prime cinque posizioni di Spotify e ne siamo state contente. Dopo il lockdown abbiamo rallentato il ritmo degli episodi per mancanza di tempo, non certo di voglia o di argomenti, e attualmente il podcast non è tra i primi proposti, anche se ha molti ascoltatori. E ne siamo davvero contente.

(a.c.)

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