Archivi categoria: Contributi e inediti

pubblicazioni di articoli e contributi diversi

Morte di un giallista bolzanino su Raiplay

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“Seguitemi e vi perderete” è l’invito, e insieme la provocazione, con cui si aprono e chiudono i 4 episodi del podcast “Morte di un giallista bolzanino”, andato in onda a inizio marzo 2023 su RaiPlay Sound.

Un true crime di circa due ore che non è solo il resoconto di una misteriosa scomparsa, ma anche la riflessione sull’identità di un pazzo che immagina la propria morte. Marco Felder è uno scrittore di gialli, bolzanino appunto, il cui corpo viene ritrovato casualmente da due escursionisti. Si è suicidato o è stato qualcun altro a toglierlo di mezzo? Ci racconta tutto un giornalista di nome J.

L’esperimento di Studio Banshee e Riff Records è un atto creativo che non arriva mai depotenziato alle orecchie di chi ascolta, un gioco di specchi in cui, grazie ai continui rimbalzi tra finzione e realtà, la storia di Felder – e, con la sua, la storia chi è suo testimone, noi compresi – si carica di quella suggestione prismatica che sta alla base di un buon giallo metafisico.

SIMONA DI CARLO

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Diabolik a Urbino – Diabolik fra ‘ammore’ e malavita

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Grazie a Marco Lazzari, gestore del Cinema Nuova Luce e membro del gruppo Cinenoir, abbiamo avuto la possibilità di vedere Diabolik a Urbino la sera della sua uscita, il 16 dicembre, introdotto da una breve presentazione di Alessandra Calanchi e Tiziano Mancini curatori nel 2019 di Noir come l’inchiostro. True Crime e Fake News sulla pagina e sullo schermo, un volume della collana Urbinoir studi (Aras edizioni) che aveva in copertina proprio Diabolik davanti ai Torricini di Palazzo Ducale – disegnato naturalmente dal Maestro Giuseppe Palumbo (docente a Isia e illustratore di chiara fama), a cui va la nostra imperitura riconoscenza.

Come ciliegina sulla torta, è per noi un grande onore pubblicare un contributo del professor Roberto Danese (altro componente del gruppo Cinenoir) scaturito dalla visione e conseguente riflessione sul film.  

Diabolik fra ‘ammore’ e malavita

di Roberto Danese

La saga di Diabolik, inventata negli anni ’60 dalle sorelle Giussani, comincia da tre. Tutti gli elementi che caratterizzeranno negli anni a venire la storia fantastica del criminale in nero, in primis il personaggio determinante e iconico di Eva Kant, compaiono infatti nell’albo n. 3 (L’arresto di Diabolik, uscito il 1 marzo 1963). Si tratta di una sorta di rigenerazione della figura del geniale malfattore, che, da presenza oscura e impalpabile (era un solitario, una specie di Fantomas di cui nessuno conosceva il volto né capiva come facesse a essere dovunque e a sapere tutto quello che gli serviva per portare a compimento i propri colpi), diventa una figura meglio leggibile, soprattutto per il suo ostinato ‘cacciatore’, l’ispettore Ginko. Quali sono i tratti nuovi scaturiti dal mitico albo n. 3? Uno lo abbiamo detto: l’arrivo di Eva Kant, che da qui in poi farà sempre coppia con Diabolik, ponendosi automaticamente al di fuori della legge e diventando anch’ella bersaglio della polizia. Poi lo svelamento totale del volto del bandito, con la conseguente cancellazione della vita di facciata che gli permetteva di comparire tranquillamente in pubblico. Quindi la scoperta da parte della polizia di una delle sue ‘armi’ segrete più importanti: le maschere che gli consentono di diventare chiunque, anche l’ispettore Ginko stesso. D’ora in poi Diabolik ed Eva dovranno vivere in clandestinità e potranno interagire con gli altri solo dietro lo schermo delle stupefacenti maschere uscite dal laboratorio del fuorilegge.  Per leggere o scaricare l’articolo completo cliccare qui

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Il giallo tra neorealismo, postmoderno e favola

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste considerazioni sul “giallo” di Ciro Pinto, autore di romanzi e  racconti thriller e noir. Qui il suo sito 

È indubbio che il ‘giallo italiano’ abbia avuto un’evoluzione davvero rilevante a partire dalla seconda metà del secolo scorso ad oggi e che sia stato costantemente sotto i riflettori per la portata della sua diffusione tra i lettori. Mi astengo qui dall’approfondire la discussione perenne tra critici e intellettuali sulla letteratura alta e la narrativa di genere -letteratura bassa-: è una querelle che si trascina da troppo tempo e a mio avviso inutile. Temo che risponda più a esigenze di mero corporativismo (ahimè vizio presente in ogni settore di attività del nostro Paese) che all’intento di marcare una reale differenza di espressione artistica quale potrebbe sussistere a esempio tra pittura e scrittura. Eppure quale migliore rappresentazione del crime può esserci di quelle che appaiono in tante tele del Merisi? 

Non mi sembra nemmeno il caso di affrontare nel dettaglio la questione delle contaminazioni tra letteratura mainstream e quella gialla. Uno dei quesiti più diffusi è: lo studio del contesto storico-ambientale, l’analisi psicologica dei protagonisti, i messaggi reconditi a sfondo sociale e politico elevano il giallo a letteratura ma lo ‘denaturano’? Per esempio: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda o A ciascuno il suo di Sciascia, entrambi gli autori esponenti eccellenti del neorealismo post-bellico, scrivono gialli o fanno letteratura? O, per citare un autore straniero e contemporaneo, scrive di letteratura o di narrativa gialla Cormac McCarthy nel suo Non è un paese per vecchi?

Fatta questa doverosa premessa vengo al punto, di cui al titolo di questa mia riflessione.

Il neorealismo. È un dato di fatto che in Italia oggi il giallo è un’espressione ibrida. C’è ovviamente un plot crime in tutte le tipologie -dall’hard boiled al giudiziario, al metropolitano, al poliziesco, eccetera eccetera- e in più c’è una riflessione costante sulle varie fenomenologie socio-politiche-ambientali caratterizzata da un evidente attenzione alla realtà secondo i canoni più classici del neorealismo. (Sopravvivono anche, è vero, in qualche misura e per alcuni autori, trame squisitamente incentrate sul crimine e indirizzate alla ‘deduzione’ del colpevole, secondo gli schemi più classici del giallo britannico, senza approfondire le tematiche ‘esterne’). 

Il postmoderno. Inoltre la caratterizzazione dei personaggi risponde ai canoni più diffusi dei comportamenti postmoderni, infatti i protagonisti sembrano tutti immersi nella società liquida di Baumann: perdita dei riferimenti, aleatorietà dei valori, fungibilità dei ruoli: i buoni non sono sempre buoni e i cattivi altrettanto. Di classici esempi se ne trovano a bizzeffe anche nelle serie televisive: cito a puro titolo esemplificativo Prison break e Breaking bad su tutti, per non parlare poi de La casa di Carta.

La favola. Il punto di riflessione che vorrei sottoporre è il seguente: perché la narrativa gialla, partendo nel suo impianto strutturale dalle premesse succitate, approda sempre e comunque, se si eccettua qualche caso, a un finale positivo, buonista e dunque moralmente ed eticamente salvifico? Non è forse un modo di ricalcare l’impianto narrativo della favola? Non sembri un paradosso, sappiamo bene quanta violenza, quanti crimini e quant’altro ci siano nelle favole di Andersen o dei fratelli Grimm. Si pensi soltanto al finale che Collodi aveva previsto in prima stesura per Pinocchio. Ma alla fine la formula: E tutti vissero felici e contenti riporta il sereno. E questo sembra la panacea di tutti i mali. Del resto persino il grande Dostoevskij sentì l’esigenza di tuffarsi nella bontà de l’Idiota dopo aver attraversato alcuni anni prima la tempesta del male in Delitto e castigo.

Dunque, per concludere, quanto è realistico un giallo che porti sempre alla scoperta della verità? Quando sappiamo che quasi sempre la verità nella nostra realtà quotidiana giace sommersa in un mare di ipotesi. Quanto corrisponde alla cronaca dei nostri giorni l’efficacia investigativa di un singolo investigatore o di una squadra intera? Per non parlare d’improbabili eroine della giustizia, di operatori delle forze dell’ordine scriteriati o afflitti da turbe più o meno gravi, o provvisti di strani poteri sensoriali? Sono super eroi in stile Marvel? Dov’è finito, quando si arriva al fatidico finale, il realismo profuso nella trama per descrivere crimini, omicidi efferati e quant’altro?

Provocatoriamente concluderei che la narrativa gialla va decisamente nel genere favolistico. E allora è da un po’ di tempo che mi chiedo: È giusto che sia così? Se è vero che la letteratura non debba fornire soluzioni, non debba dare lezioni, cui prodest un finale di conciliazione e salvezza? Al lettore, come unguento risanatore? All’establishment, per far dimenticare la realtà di un sistema giudiziario, investigativo e processuale che è sempre più deficitario? O forse è soltanto un modo per noi autori e per i lettori di attingere dalla fiction la forza per sopravvivere? 

Ciro Pinto

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QUESTIONI DI “ATMOSFERA”

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di Ettore Catalano, professore onorario Università del Salento

per gentile concessione dell’autore, che ringraziamo.  Cogliendo l’occasione per raccomandare la lettura del suo recentissimo  romanzo Un’infezione latente.

 

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Esiste, in Italia, un dibattito anche molto acceso tra quanti affermano che il “noir” sia un sottogenere del “giallo” e quanti, al contrario, con molta passione critica, ne rivendicano una sorta di autonomia. Premesso che non mi appassionano le discussioni, anche dotte, su canone e generi, devo dire che un romanzo non dovrebbe essere letto altro che come un romanzo, qualunque sia l’etichetta che, frettolosamente gli si affibbia, e, dunque, deve essere considerato sotto l’aspetto dello stile e della scrittura dell’autore, il quale, per buona sorte, sempre tende a violare le prescrizioni “territoriali” dei generi e delle etichette. Sono convinto che l’attuale fortuna del “noir” (in letteratura, nel cinema e nel fumetto d’autore) possa anche stimolare un desiderio di indipendenza dello stesso “noir” dal “giallo”, circostanza che ha spinto anche alla creazione di blog e siti web (ad esempio Urbinoir) sui quali non si è troppo teneri nei confronti di chi considera il territorio del “noir” con sussiego e un po’ di sufficienza accademica. Oggi si parla molto del “noir mediterraneo” e di alcune condizioni o caratteristiche che ne delimitano i confini possibili e lo distinguono dal “giallo”, anche se occorre sempre tener presente la mobilità di quelle delimitazioni e le ibridazioni, tante e sempre molto interessanti.

Partiamo da un dato che pare ormai acquisito, come scrive l’americanista Alessandra Calanchi in <urbinoir.uniurb.it>: il “noir è più che altro una questione di atmosfera, di luoghi, di mood. In esso non è in primo piano il crimine e neppure la detection , la ricerca del colpevole, né il brivido, né il sangue, il “noir” non si accontenta di narrare una storia, ma cerca di trasmettere odori, sapori, suggestioni sui risvolti anche psicologici di un delitto che, forse, tutti potrebbero commettere in un momento particolarmente teso della loro vita, magari in circostanze di esclusione e difficoltà, forse non nelle metropoli in cui il “giallo” classico è nato e si è ambientato (la Londra di Conan Doyle e di Sherlock Holmes, la Parigi di Simenon e di Maigret o l’America di Chandler e di Philip Marlowe e di Hammett, l’autore de Il mistero del falco, da cui venne tratto un celebre film con Humphrey Bogart), ma nelle periferie sociali scomode e degradate del nostro mondo mediterraneo (Fernand Braudel è il padre di questi sguardi storici della scuola delle “Annales”). Non c’è lieto fine nel “noir”, l’equilibrio rotto da un delitto non si ricompone mai come se nulla fosse avvenuto, dopo la scoperta del colpevole (la sua eventuale condanna è un discorso ben diverso e attiene alle problematiche dell’amministrazione della giustizia): il “noir” non punta a questo (o non solo a questo), ma è una sorta di sguardo grandangolare sul sociale, per dirla con la mia collega Alessandra Calanchi dell’Università di Urbino, di cui ho parlato prima. Il “noir” non vuole creare compassione e tanto meno un sospiro di soddisfazione per lo scampato pericolo, non tende a rassicurare, vuol essere, invece, un’occasione, per il lettore, di pensare a quanto accade ogni giorno intorno a noi e dentro di noi: il crimine come parte eclatante di un complesso meccanismo sociale in cui contano anche i drammatici problemi legati alle connivenze tra la parte marcia della politica e la criminalità organizzata, il mondo degli affari miliardari legati allo smaltimento dei rifiuti, all’ecomafia, alla speculazione edilizia, alla sanità negata e violentata da interessi personali, al triste commercio dei clandestini, alle dimensioni ormai mondiali di un esodo forzato legato agli effetti di lunga durata del colonialismo e dell’imperialismo, concetti che ormai latitano nel nostro stantio dibattito politico.

Dunque, non ci sono eroi nel “noir”, altra caratteristica fondamentale, ma solo uomini cha fanno il loro dovere di semplici cittadini o di componenti delle Forze dell’Ordine, senza troppe illusioni su come andrà a finire la loro fatica. In altri termini, il “noir” arriva dove il “giallo” si arresta, almeno ciò emerge non appena ci si immerga nel mondo del grande “noir” che alcuni chiamano anche “mediterraneo”, richiamandosi anche a una storia che, sulle rive del Mediterraneo ha visto anche nascere grandi capolavori della letteratura che si potrebbero anche rileggere, come qualche studioso fa, proprio alla luce delle considerazioni fatte prima. Dalla Bibbia (che inizia con un fratricidio e dunque con un crimine) ai poemi omerici, straordinari esempi di poesia epica, ma anche autentici repertori di sangue e di atrocità (come ogni guerra) Perfino l’Odissea inizia con le sinistre fiamme dell’incendio di Troia e dell’eccidio di donne e bambini e si conclude con una feroce strage di vendetta e di orgoglio smisurato, su cui neppure gli dèi possono fare nulla. Qualcuno potrà dire che qui si tratta di esagerazioni, magari originate, in critici tuttavia intelligenti, preoccupati di trovare conferme a loro tesi, ma bisogna riconoscere un certo fascino a tali suggestive argomentazioni.  E allora l’aggettivo “mediterraneo” cerca di spiegarci la qualità di quello sguardo nel quale la violenza, innegabile, si lega inestricabilmente alla bellezza di uno spazio mediterraneo in una narrazione alla Braudel, in cui aspetti letterari e culturali si legano a realtà storiche territoriali in una sequenzialità di grande respiro e durata. Anche la letteratura, nel corso dei secoli, a poco a poco, si spingerà fino ad indagare, come scelta di campo, lo spazio sociale e psicologico dove può nascere il crimine e autori come Dostoevskj, Poe, Stevenson, Dickens possono dirci molto su questo. Non vi voglio tediare troppo, così, facendo leva, sulla mia stessa vicenda di lettore e di critico, non posso non citarvi le incursioni pirandelliane nel territorio mentale della rivolta contro la banalità e la crudeltà del “buon senso” e Leonardo Sciascia, figura centrale in questa storia, con la sua implacabile ricerca della verità in una società corrosa dalla mafia e la appassionata  sua immersione nella malattia e nella morte, in cui naufraga ogni speranza di giustizia e di verità fino al “cancello della preghiera”.                     

Ma venendo ai nostri giorni, devo farvi alcuni nomi importanti, innanzitutto i romanzi di Albert Camus e la saga marsigliese di Jean-Claude Izzo, il greco Petros Markaris, creatore del commissario Kostas Charitos, il grande Manuel Vasquez Montalban della Barcellona di Pepe Carvalho, del cibo sulle ramblas,  gli italiani Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo e Gianrico Carofiglio (autore anche di un graphic novel Cacciatori nelle tenebre, insieme al fratello Francesco),  Andrea Camilleri (solo in parte apparentabile col “noir”) e molti altri di cui non posso qui farvi i nomi. In tutti questi autori, pur con le debite differenze, esiste un tratto che li accomuna: sono tutte creazioni letterarie in cui viene accentuata l’ambiguità, l’incerta linea di confine tra bene e male, in un intreccio opaco tra interessi criminali e complicità “legali”, la medesima difficoltà di noi lettori comuni ad orientarci in un mondo spesso fatto di omissioni, latitanze, connivenze a livello ormai planetario, nel mondo globale in cui ci troviamo a vivere. Il nostro mondo “mediterraneo”, per continuare a muoverci illustrando l’aggettivo, vive un forte dualismo tra valori forti della nostra identità “mediterranea” (cibo, convivialità, ospitalità, solidarietà, atmosfere azzurre di mare e di vento forte) e violenza, corruzione, avidità e sopraffazione, da cui siamo circondati.

Tirando le somme, premettendo che alcuni critici, come Stefano Priarone, pensano che nel “noir non esistono vere vittorie, e a volte l’obiettivo è soltanto una dignitosa sconfitta, come capita spesso nella vita”, potrei indicare alcuni “porti” lungo questa rotta mediterranea in cui fare scalo, sempre con le debite differenze di stili e di risultati artistici.

  1. Ambientazione legata alle narrazioni e alla geografia mediterranea
  2. Riferimenti al mondo familiare di detective che possono essere figure professionali, anche investigatori privati, o semplici cittadini coinvolti in situazioni difficili
  3. Antieroicità dei personaggi e loro quotidianità
  4. Critica sociale nei modi prima descritti
  5. Localizzazione (non più solo nelle metropoli, ma in una miriade di situazioni territoriali e dei mondi nei quali si esplica il nostro vivere quotidiano).
  6. Devo aggiungere, almeno per me, l’insegnamento importante di Pirandello, un vero antesignano nella discesa nelle profondità del cuore umano e nella messa in crisi del feticcio del “fatto” (mi fanno sorridere quanti dicono “fatti e non opinioni”, dimentichi della piccola circostanza per cui non esistono che opinioni): “Un fatto è come un sacco: vuoto non si regge. Perché si regga bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato”.

La letteratura, anche e soprattutto quella che io cerco di praticare, non indugia a descrivere fatti truci, non si dilunga in piacevolezze dialettali, senza alcun preventivo rifiuto della espressività ineguagliabile delle nostre parlate territoriali, cerca solo di comprendere ciò che si agita nel manzoniano guazzabuglio del cuore umano, in un momento particolarmente crudele e tormentato della storia del nostro pianeta. Mi accorgo, ora, di aver parlato quasi soltanto di ciò che mi sta dentro, dei tanti libri che ho letto, dei pochissimi che mi hanno davvero colpito, insomma di ciò che tento di scrivere, ricordandomi sempre di quanto dice Claudio Magris, quando raccomanda di intingere sempre la penna nell’umiltà e nell’autoironia.

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Dimentica la notte – una nuova indagine per Noelia Basetti

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la copertina del libro di Sara Ferri

Il mare è un richiamo potente per chi conosce la sua voce fin dalla nascita. Questo suono, così rilassante nella sua ritmicità, può sembrare uguale in ogni parte del mondo, ma non è così. A Rimini, dove la sabbia è più pesante e la spiaggia più ampia, il lento oscillare delle onde si percepisce distante, soprattutto sul lungomare che, dal Molo di Levante, porta a Bellariva, dove le scogliere sono perpendicolari alla costa. Nei giorni in cui il vento che dà il nome al molo di Rimini soffia forte, le onde arrivano sul bagnasciuga con prepotenza, coprendo le prime file di ombrelloni. In quei giorni, durante l’inverno, l’odore del mare è così potente da inebriarti, arrivando a impregnare i tessuti dei vestiti stesi ad asciugare all’aperto.
Quell’odore salmastro e salato che io sento nelle narici fa parte di me da che ho memoria. (…)

Prendo in prestito questo passo da Sara Ferri per due motivi:

mi sembra un punto di partenza perfetto per parlare del suo nuovo romanzo – Dimentica la notte, ambientato proprio a Rimini – e dimostra concretamente il talento di questa brava scrittrice che, nella sua seconda opera ci dà una prova più ampia delle sue capacità.

Dimentica la notte è il seguito di Caldo amaro e racconta una nuova avventura di Noelia Basetti. Dopo i fatti di Pesaro, Noelia si è trasferita nella vicina Rimini. Ora ha una nuova vita e un nuovo lavoro, ma si troverà nuovamente coinvolta nelle indagini su una serie di efferati crimini che hanno sconvolto la quiete della città.

Preferendo lasciare ai lettori il piacere di scoprire da soli il resto della storia, vorrei concentrarmi invece sulle impressioni che la lettura mi ha lasciato.

Seguendo il dipanarsi delle vicende, ho avuto la sensazione che, rispetto al suo primo romanzo, l’autrice si sia presa più tempo:

più tempo per raccontare, più tempo per sviluppare una trama complessa, più tempo per descrivere le situazioni, più tempo per parlarci dei suoi personaggi e del loro vissuto interiore. Dimentica la notte ha, secondo me, un respiro più ampio rispetto al suo predecessore e ripropone tutto ciò che avevo apprezzato in Caldo amaro, migliorandolo considerevolmente.

Ho ritrovato, prima di tutto, una storia avvincente e ricca di colpi di scena, scandita da una buona dose d’azione e da un ritmo serrato ma equilibrato. Di nuovo, Noelia e i suoi colleghi riflettono cercando di capire cosa sta succedendo, ma passano all’azione davvero molto rapidamente perché, si sa, in un’indagine non c’è un minuto da perdere. Anche qui l’autrice è abilissima nel tenerci sulle spine e nel farci percepire il ticchettio delle lancette senza però affrettare troppo la narrazione.

Ho ritrovato Noelia Basetti e mi ha fatto piacere vedere che, nonostante quel che ha passato a Pesaro, è in ottima forma. È un po’ cambiata e più matura, ma fondamentalmente il suo animo dolce e spigoloso è sempre lo stesso. Si trova ancora alle prese con una vita complicata e a volte pericolosa ma non è per nulla intenzionata a darsi per vinta. Per fortuna, stavolta può contare anche sull’aiuto di tanti nuovi colleghi, alcuni dei quali particolarmente azzeccati, che mi piacerebbe veder diventare delle presenze fisse di un universo in espansione.

Ho ritrovato la freschezza dello stile di Sara Ferri, che ci regala una narrazione piacevole, arguta, ironica e costellata di tante piccole raffinatezze, tocchi di realismo spesso “dimenticati” negli ambienti del “giallo. Tanto per fare un esempio, a un certo punto di questa storia, ci ricorda che zoomando sulle immagini a bassa risoluzione di un filmato di Youtube ripreso con un cellulare, non sempre compare per magia il volto nitidissimo del colpevole… piuttosto la telecamera sgrana i dettagli e ci si ritrova a osservare un ammasso di pixel indistinti! Un plauso a Sara per averci riportato un po’ con i piedi per terra, abituati come siamo a vedere tecnologie d’indagine da fantascienza, infallibili quanto irreali.

Tirando le somme, direi che Dimentica la notte è un romanzo eccellente, che conferma ampiamente le buone premesse di Caldo Amaro e alza l’asticella, mostrando l’ottimo potenziale dell’autrice.

Giovanni Ballarin

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“Il garzone del boia” Elison Publishing–2018

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 Ambientato nell’Italia dell’Ottocento, IL GARZONE DEL BOIA è la storia del più celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio, Giovanni Battista Bugatti detto Mastro Titta, raccontata dal suo aiutante comprato per pochi soldi dalla famiglia di origine per farne il proprio garzone.

Una visione assai diversa, a volte in contrasto con quella del proprio Maestro che vede il mestiere del boia come una vocazione, mentre per il buon garzone è solamente una scelta obbligata dalla quale fuggire alla prima occasione.

Gli eventi si susseguono tra le esecuzioni di assassini e le storie vissute dai protagonisti o raccontate dal popolino sotto la forca.

Il Maestro cresce il proprio aiutante iniziandolo anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta una doppia stesura.

Una prima, in corsivo, fatta dall’aiutante alle prime armi, con un linguaggio spesso forte e colorito e una seconda scrittura, quando oramai avanti con l’età su consiglio del suo analista, riprende in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano.

 Di seguito il collegamento al sito per il dettaglio e per una recensione i contatti dove richiedere una copia gratuita.

Simone Censi

https://www.facebook.com/IL-Garzone-DEL-BOIA-364519407441667/?modal=admin_todo_tour

https://elisonpublishing.stores.streetlib.com/it/simone-censi/il-garzone-del-boia/

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PROGETTARE UNA BIBLIOTECA NOIR

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Non è semplice affrontare l’organizzazione bibliografica di una raccolta documentaria Noir, sia per la vastità del materiale che comprende non solo monografie e periodici a stampa, ma anche risorse elettroniche e multimediali, sia per le caratteristiche di un genere, o meglio, un arcobaleno di sottogeneri di non facile definizione, un caleidoscopio di sfumature difficili da classificare.

D’altra parte lo scopo primario di una biblioteca specialistica non è quello di raccogliere tutto il materiale possibile e immaginabile, e anzi l’accumulo sconsiderato di qualsiasi cosa venga scritta può avere effetti negativi ai fini di una documentazione efficace. Edgar Allan Poe già nel 1848 così scriveva nel Marginalia a proposito della quantità delle pubblicazioni a volte inutili accumulate nelle biblioteche: “L’enorme moltiplicarsi dei libri in ogni ramo dello scibile è uno fra i peggiori flagelli dell’età nostra, uno dei più seri ostacoli al raggiungimento d’ogni conoscenza positiva”.

Vero è che la quinta legge biblioteconomica di Ranganathan, “The library is a growing organism” suona come un invito ad ampliare le collezioni attraverso nuove acquisizioni che rispecchino gli ideali, le aspirazioni prefissate dalla biblioteca, a patto di raccogliere e conservare solo materiale pertinente, in questo caso riguardante la cultura del Noir promossa dai curatori di Urbinoir, in particolare dalla Prof.ssa Alessandra Calanchi.

Il maggior numero di donazioni è stata effettuata dal massimo esponente italiano del “noir mediterraneo” Andrea Camilleri, scrittore assai prolifico, che in occasione nel 2012 del conferimento della laurea onoris causa dall’Università degli Studi di Urbino e la targa di Urbinoir, ha lasciato ben 28 suoi celebri romanzi editi da Sellerio.

Uno degli intenti prefissati dal comitato scientifico di Urbinoir è quello di occuparsi del sociale, in cui la finzione del romanzo si interseca con la cronaca della realtà spesso drammatica e alienata della provincia. Anche in questo senso non è casuale la scelta di autori noir sensibili a questi problemi come Valerio Varesi, giornalista di La Repubblica o il giudice Giancarlo De Cataldo con il suo celebre Romanzo Criminale da cui è stata tratta una seguita serie televisiva e un film, o ancora Marilù Oliva sensibile ai problemi dell’universo femminile con Le spose sepolte. Il romanzo autobiografico Come una lama racconta la dura esperienza del carcere subita da Maria Vittoria Pichi.

La piccola ma significativa raccolta noir di 132 monografie, destinata a crescere, è il frutto di generose donazioni da parte di scrittori e curatori invitati alle giornate di studio dei convegni di Urbinoir, che ormai si tengono dal 2007 (la data della prima edizione è avvolta nel mistero), ognuno dei quali ha lasciato il proprio contributo e testimonia come la letteratura Noir ci aiuti a comprendere e svelare l’evoluzione della nostra società esprimendone tutte le paure, le contraddizioni, i lati oscuri.

Altro argomento analizzato da Urbinoir è il genere noir intrecciato a fatti storici, come nel caso dei romanzi di ambientazione medievale di Valerio Evangelisti e della scrittrice italo-americana Ben Pastor con Lumen e La strada per Itaca.

La raccolta comprende testi di ispirazione esoterica, di autori come Giordano Lupi, con i suoi romanzi di ambientazione cubana e caraibica come la i racconti di Nero Tropicale.

Il carattere particolare del genere Noir, detto anche un surgenere, in quanto contaminazione di generi, porta ad interessarsi a diversi ambiti disciplinari, come l’arte, il fumetto e il cinema. Sono esemplari i saggi critici di Giovanni Modica dedicati alla filmografia horror di Dario Argento, o il saggio di Andrea Carlo Cappi Diabolik, l’ora del castigo con disegni originali di Giuseppe Palumbo.

Le traduzioni delle avventure di Sherlock Holmes di Conan Doyle edite da Mondadori, testimoniano il sodalizio con l’associazione Uno studio in Holmes: the Sherlock Holmes society in Italy, patner di Urbinoir sin dagli esordi.

Uno spazio importante è riservato ai noir di ambientazione marchigiana e urbinate, come i romanzi della collana Neroitaliano di Fanucci Editore o la raccolta antologica di autori marchigiani Marchehnoir, e i romanzi Nei sotterranei della Cattedrale di Marcello Simoni, L’enigma Montefeltro di Marcello Simonetta, La tana di Enrico Maria Guidi, Scomparsi a Urbino di Sonia Bucciarelli, che forniscono notizie storiche sempre accurate unite alla particolare atmosfera di storia e mistero che da sempre circonda la Città Ducale.

Una sezione è dedicata agli studi critici, come la raccolta di saggi Arcobaleno noir a cura di Alessandra Calanchi con una serie di riflessioni teoriche che tentano di definire il genere Noir tra letteratura e cinema.

Inoltre la collana Urbinoir-studi di Aras edizioni, raccoglie gli atti dei convegni annuali. Il link di riferimento è: 

www.urbinoir.uniurb.it/collana-urbinoir-studi/

I libri di Urbinoir sono raccolti in un fondo speciale della Biblioteca dell’Area Umanistica – sezione Lingue a cui è stata assegnata la segnatura di collocazione Urbinoir, e sono ammessi alla consultazione e al prestito a chiunque lo richieda.

Il materiale è organizzato in varie sezioni: opere originali in ordine alfabetico per autore, saggi di critica, antologie, collane.

http://opac.uniurb.it/SebinaOpac/Opac

Tutti i testi sono stati inventariati e catalogati attraverso l’indice del Servizio Bibliotecario Nazionale. L’intera schedatura delle opere è consultabile sia nell’Opac nazionale www.sbn.it, sia nel catalogo del Servizio Bibliotecario di Ateneo digitando la parola-chiave Urbinoir nel campo della Ricerca libera.

Michele Bartolucci

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