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Letture, commenti e novità su libri, articoli o novità editoriali

Gian Italo Bischi su “La Costante” di Elena Liguori

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Eric Hartway, celebre fisico candidato al Nobel, e Natalia, una giovane dottoranda in astrofisica in procinto di iniziare un promettente lavoro, vengono uccisi in circostanze misteriose al CERN di Ginevra. I due si erano incontrati la sera prima, durante la cerimonia per celebrare i dieci anni dalla scomparsa del professor Ferrante, l’astrofisico di cui Eric era stato allievo prediletto. L’avvenimento, e le conseguenti indagini della polizia, sconvolgono la quiete del centro di ricerca diretto da Fabiola Gianotti (unico nome reale che compare nel romanzo). Difficile stabilire cosa accomuni le due vittime, l’unico dato che emerge è che hanno avuto un’infanzia difficile che in entrambi ha lasciato inquietudine e difficoltà nei rapporti con gli altri. Le indagini condotte dal giovane commissario Filippo La Roche, figlio d’arte con complessi di inferiorità rispetto al padre che ha ricoperto lo stesso ruolo prima di lui, sembrano inizialmente infruttuose, tanto che i giornali non tardano a mettere in luce la sua inesperienza. Ma riceverà un aiuto inaspettato, tenendo fede a una delle considerazioni (tipicamente postmoderne) che Natalia propone all’inizio del romanzo “…il successo e l’insuccesso non dipendono dal nostro impegno e dal nostro lavoro, sono solo il frutto del caso. Una singola variabile può compromettere l’intera equazione”

Questo romanzo di esordio di Elena Liguori, classe 1988, campana di origine e ora giornalista a Milano, è avvincente e convincente. Ogni personaggio viene introdotto con una giusta dose di introspezione psicologica fondata sui problemi dell’infanzia, che ne giustifica atteggiamenti e comportamenti. La trama ricca di colpi di scena, la prosa scorrevole ed essenziale.

 Elena Liguori, “La Costante”, Il Ciliegio, 2017, 12 €

Gian Italo Bischi

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Quattro romanzi editi da Fanucci

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Marco Apolloni, Senza moscioli ne’ pistole 

Jonathan Arpetti e Christina B. Assouad, Leopardi si tinge di nero 

Mauro Baldrati, Io sono El Diablo

Giovanni Sechi, Il sesto indizio

Un poker d’assi questi quattro romanzi editi da Fanucci Neroitaliano (2018) con quarte di copertina firmate da autori doc quali Valerio Evangelisti e Valerio Varesi. Se Apolloni predilige la costa marchigiana come scenario e il diario come forma narrativa,  Arpetti e  Assouad tornano sulla scena del crimine (dopo Delitto dietro le quinte, 2017) tratteggiando i luoghi leopardiani, mentre Baldrati percorre l’Europa e Sechi sceglie un gruppo criminale del nord Italia. C’è ne per tutti i gusti, e le storie sono ben scritte e avvincenti. Un solo dubbio … riuscirà Fanucci a mantenere il livello di qualità e varieta’ ? Ai lettori e ai critici, e non ai posteri, l’ardua sentenza…

(a.c.)

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Gli studenti di Lingue incontrano il noir con Massimo Locatelli

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Il 27 ottobre 2017 si è tenuto un incontro a Palazzo Battiferri tra gli studenti di Lingue dell’Università di Urbino e Massimo Locatelli, docente di cinema ed esperto di noir, che ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Psicologia di un’emozione. Thriller e noir nell’età dell’ansia. In questo volume egli illustra come le emozioni siano qualcosa di radicato nelle pratiche di consumo contemporanee, specificando che l’ansia non è strettamente uno stato psicologico, ma uno stato d’animo in cui ci troviamo e che viene alimentato da determinati fattori, in questo caso generi cinematografici come il noir e il thriller. Studiando queste narrazioni (definite da Locatelli “narrazioni audio-visive criminali e investigative moderne”), è possibile realizzare uno “studio culturale delle emozioni”, tenendo in considerazione che, quando proviamo paura ed ansia, mettiamo in atto dei processi di proiezione e immedesimazione.
Sulla base di questi concetti, introdotti dalla professoressa Alessandra Calanchi nella lezione precedente all’incontro, gli studenti hanno potuto affrontare l’incontro in maniera più consapevole ed hanno apprezzato molto il fatto che si sia parlato anche di serie televisive che essi stessi seguono, come ad esempio True detective, in modo da permettere loro di avere un riscontro diretto dei concetti che il professor Locatelli ha messo in luce. In particolare, si è partiti da un confronto tra due serie televisive, la sopracitata True detective e Don Matteo, che, pur essendo molto diverse, hanno due elementi in comune: il meccanismo della serializzazione e il thriller, cioè la presenza di musiche ed atmosfere che trasmettono ansia. Il thrilling, infatti, è caratterizzato dal mistero, dall’investigazione, dal senso perenne di ansia, di tensione unitamente alla suspense, all’attesa. La tensione è considerata uno stato di insicurezza, di non tranquillità, legata al fatto che non si conosce cosa accadrà, ed è un campo di cui si occupano le neuroscienze: attraverso specifici strumenti tecnologici, infatti, è possibile misurare le nostre reazioni complessive a determinate scene.
Locatelli ha anche fatto riferimento a quello che viene definito “sistema della cura”, cioè il sistema della relazionalità, che è di fondamentale importanza nel cinema perché permette di creare emozioni nello spettatore attraverso quelle provate dal personaggio: si parla per questo di “carica patemica”, la quale complica un po’ la narrazione, ma è fondamentale per creare la profondità dei personaggi.
Il noir nasce negli anni ’30/’40, rendendo il thriller classico ancora più complesso, grazie ad un’ulteriore dimensione patemica: vi è infatti una carica passionale che si lega all’elemento del mistero, ed i personaggi sono caratterizzati da difficoltà decisionali ed emozionali (un esempio è la “dark lady”).
Dagli anni ’80 in poi, e ancor più oggi (dove, secondo Locatelli, l’universo investigativo e criminale ha un ruolo centrale), il noir è diventato più complesso, poiché gli spettatori odierni sono più ‘esigenti’, pretendono uno specifico ‘mood’: ciò che crea tensione è la penombra, il chiaroscuro, che non è semplice da realizzare. Da ricordare è sicuramente il personaggio di Rodolfo Valentino, lanciato nel 1920 e divenuto la base per tutti i personaggi di questo tipo, dalla psicologia incerta.
Dal 1941/42 si cominciò a costruire un mondo chiaroscurizzato: da questo punto di vista è emblematico il film La signora di Shanghai (1947), di Orson Welles, con molte scene di contrasti tra chiaro e scuro, girate anche all’esterno degli studi. Particolare attenzione merita la scena finale del film, che mostra il gioco degli specchi, tipico del thriller: la tensione si crea perché, in mezzo a tantissimi specchi che riflettono l’immagine del personaggio, non si comprende quale sia quella vera.
Da notare è che questo percorso di evoluzione di tecniche, che viene incontro al nostro registro emotivo, si verifica anche nella televisione, e che la maturità del chiaroscuro viene raggiunta negli anni ’80.
L’incontro si è concluso con molte domande poste dagli studenti, che hanno molto apprezzato sia la sua modalità di svolgimento, poiché vi era la possibilità di intervenire e di rispondere a domande poste dal professor Locatelli, sia per l’argomento: è infatti interessante per noi, che siamo nati molto tardi rispetto alla nascita di alcuni generi cinematografici importanti, conoscere quale sia la loro storia, come si siano evoluti nel tempo, ma soprattutto apprezziamo il fatto che, attraverso incontri di questo tipo, ci vengano forniti degli strumenti importanti che ci permettano di analizzare i film che vediamo, comprendere gli stili di regia, le psicologie che si nascondono dietro ai personaggi.
Per concludere, voglio riportare una frase di Alfred Hitchcock che ho letto per caso qualche tempo fa e che mi è tornata in mente nel corso dell’incontro: “Nel film gli omicidi sono sempre molto puliti. Io mostro come sia difficile e che pasticcio enorme sia uccidere un uomo”.

Alessia Badassarri

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CRONACHE DA GIALLOGARDA 2017

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Si è svolta il 14 e 15 ottobre nell’atmosfera calda e stimolante della Cantina Marsadri a Raffa di Puegnago sul Garda la nuova edizione del Festival GIALLOGARDA, che ha radunato grazie alla mitica Laura Marsadri scrittori, giornalisti, studiosi e un folto pubblico di lettori e lettrici appassionati di giallo. Fra un calice di “Pioppo Rosso” e un libro da sfogliare con curiosità, è stato possibile toccare con mano la qualità non solo dei vini (molto alta!) ma anche delle opere letterarie, sia quelle in gara (quest’anno nella sezione inediti vinta dal L’autista di Dio di Giada Bredeschi) sia quelle in esposizione. E’ stato così che, accanto al mercatino di originalissimi ciondoli fatti a libro (l’artista è Ylenia Bagato) ho trovato alcuni romanzi molto interessanti e ne voglio segnalare soprattutto due, entrambi di Todaro Editore, giallissimi fin dalla copertina, aperta la quale si ha subito la conferma che si tratta di prodotti d.o.c.g.: la collana è infatti diretta da Tecla Dozio – l’inchino è d’obbligo. E’ infatti uscito in questa collana sia il bel libro vincitore della scorsa edizione di Giallogarda (sezione editi), Come bestie ferite di Luca Bonzano, sia il recentissimo I bambini di Escher di Paolo Pedote. “Questo è il suo primo noir”, avverte il bio-blurb in quarta di copertina, una frase che ha innescato la mia (scettica) curiosità. Sì, perché è facile etichettare un libro come ‘noir’, più difficile è mantenere la promessa. Invece, il romanzo di Pedote non tradisce le aspettative: è pur vero che pare attingere dalle serie tv inglesi e americane da Barnaby a Major Crimes (incesto, traffico di bambini, ecc.), ma l’atmosfera rarefatta, il ritmo incalzante, il labirinto di sottotrame e la fragilità dissimulata degli ‘eroi’ ci convincono subito. E’ vero, siamo di fronte a un noir, e lo dico alzandomi in piedi in segno di rispetto.  Ho amato soprattutto le frasi che risuonano con quelle dei grandi autori del noir (e con le similitudini del Maestro, Chandler) – “sapeva che quelli come lei tornano sempre” … “Era matematico, era l’unica certezza che aveva”… “come gli scarafaggi quando li illumini con la torcia” … “guardava silenzioso quel duetto, finto come i soldi del Monopoli” …  e ho adorato i quadretti amari che strappano un sorriso – l’islamico che sorseggia Coca Zero, la mozzarella avariata del discount, la tipica coppietta del centro commerciale, i baby-pirla, i cyber-poeti, i parkouristi e i graffitari. Un mondo fantasmagorico – che noi ben riconosciamo come la nostra realtà quotidiana – in cui si muove il protagonista, Nerone, noir fin dal nome: un uomo malato di “fuga dissociativa”, che cerca di ricostruire un passato troppo doloroso con l’aiuto di una psichiatra (anche qui non possiamo ignorare gli ammiccamenti a Memento e The Mentalist) e che a sua volta cerca di aiutare una poliziotta, anzi una “sbirra” che della dark lady è l’erede ibrido più interessante degli ultimi anni (forse persino della mia amata guerrera di Marilù Oliva). Nerone è la quintessenza del tough guy, l’ultimo distillato, o meglio quel che ne resta nell’attuale disgregazione identitaria e sociale: un duro la cui dolcezza emerge a tratti, come nella scena straordinaria in cui lui e un buttafuori di colore – più duro ancora di lui – parlano della defunta Alicia, tossica e depravata, con una rara delicatezza di cui la maggior parte dei maschi ‘perbene’ (nella letteratura e nella realtà) non sarebbe capace. Nerone non ricorda nulla e nessuno: la Shoah, Shakespeare, Leopardi, Sherlock Holmes – i quattro pilastri della nostra cultura occidentale o, di nuovo, di quel che ne resta – non gli dicono alcunché. Diventa così lui stesso tabula rasa, pagina bianca su cui Pedote scrive la sua storia. Il cui titolo è legato a una fotografia che a poco a poco si rivela essere il principale indizio – e il bandolo della matassa – della storia: Escher ci dice infatti non solo che la realtà è enigmatica ma che l’arte può rappresentare ciò che in natura è impossibile. Di qui la poetica implicita nel romanzo (che come avverte il narratore non è un romanzo di Ellroy), che fa l’occhiolino alla scena degli specchi ne La signora di Shangai di Welles ma anche all’Inquilino del terzo piano di Polansky, e anche in un certo senso all’assioma holmesiano secondo cui una volta eliminato l’impossibile quel che resta, per quanto improbabile, deve pur essere la verità. Ma il noir può davvero eliminare l’impossibile? O aspira piuttosto a inglobarlo, a farlo proprio per poi trascenderlo, pur nella sacrosanta esclusione del soprannaturale? Pedote ci regala un vero gioiellino che, forse, risponde a questa domanda.

a.c.

Laura Marsadri – La signora in giallo

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Abyssus Abyssum invocat

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L’abisso invoca l’abisso è una storia scritta da Michele Bartolucci, violinista nonché bibliotecario dell’Università di Lingue a Urbino. La passione per la cultura, l’arte e la sua bella città sono state sicuramente le ragioni che hanno portato ad inscenare un delitto nella sua bella cittadina. La realtà urbinate è ritratta in un rapporto dicotomico tra il suo periodo rinascimentale e il chiacchiericcio di cittadina universitaria nel XXI secolo. Per gli amanti della città di Urbino sarà un piacere ripercorrere con l’immaginazione le stradine di ciottoli e le salite che portano alla Casa Natale di Raffaello, a Palazzo Baldani o alla Piazza. Per coloro che non l’hanno visitata, può essere uno stimolo a saperne di più su questa piccola società culturale. In questo racconto, Urbino viene ritratta quasi come uno spirito incombente, un guardiano che gelosamente custodisce tutti i vizi e i peccati di un giovane e bislacco “Duchino”. Giulia, una studentessa di storia dell’arte, nello svolgere una tesina si trasformerà in una detective improvvisata venendo a contatto con antichi archivi, preziosi reperti e lettere dallo stampo ducale. Assieme a Giulia, il filo conduttore della storia diventa un quadro raffigurante una misteriosa donna bellissima, Argentina. La scelta del nome rimanda alla donna carismatica e affascinate che “lanciò dardi d’amore”, divenendo oggetto del suo stesso peccato. Il quadro della donna riprende vita davanti Giulia, ripetendo inesorabile la profezia: “Abyssus abyssum invocat”. Alla fine del testo si rimane affascinati dalla quantità di informazioni condensate in appena 50 pagine di narrazione, che svelano al lettore gli intrighi sepolti sotto la stessa città. Personalmente, da studentessa e appassionata di storia dell’arte, ho apprezzato tutto il panneggio della storia che diventa un compendio tra scuola baroccesca, la coppia innamorata dei due giovani studenti e gli intrighi a Palazzo Ducale.

Daniela Cellini

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Karen Sander, ASCOLTA O MUORI

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Karen Sander, ASCOLTA O MUORI, trad. Lucia Ferrantini, Giunti 2016

ASCOLTA-O-MUORI

Occupandomi sia di noir, sia di  paesaggio sonoro, questo thriller è veramente pane per i miei denti.  Ambientato a Düsseldorf – come il celebre film di Fritz Lang del 1931 e analogamente incentrato sulla caccia a un serial killer che rapisce bambine – Ascolta o muori è il secondo romanzo di Karen Sander, docente e traduttrice tedesca già nota al pubblico italiano per Muori con me (2015). Entrambi i romanzi hanno come protagonisti la dottoressa Elizabeth Montario (psicologa criminale, ovvero profiler) e Georg Stadler (commissario capo della Squadra Omicidi). Insieme cercano di affrontare un caso fatto di macabre scoperte, biglietti conficcati in gola, dita mozzate e una jeep misteriosa. E voci, rumori, ronzii di cellulare che punteggiano tutta la trama in un continuo gioco di suspense. Da non perdere. (a.c.)

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La fuga, delitto in Bretagna di Gianluigi Schiavon

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UnknownGianluigi Schiavon, giornalista e scrittore, già autore di romanzi di cui tutti hanno parlato, come Il bambino del mercoledì, e di raccolte di racconti come Colpi bassi (sul ring e nella vita), ci regala con La fuga, Delitto in Bretagna (Giraldi 2015) un vero gioiello della narrativa d’indagine: una storia che piacerà sia ai tradizionalisti (c’è l’elenco dei personaggi e addirittura la mappa della Bretagna), sia a chi ricerca elementi di originalità. Schiavon, infatti, pur nel pieno rispetto delle regole del “giallo” convenzionale riesce a parlare con humor erudito di arte e di pugilato, di musica classica e di prostitute, di sequoie e clochard, di sirene e pugnali. Il commissario Bertot, poi, ci sta simpatico già alla prima riga della sua presentazione; e i frequenti flash back, lungi dall’appesantire la narrazione, le danno un respiro ampio e articolato, facendo piroettare il lettore fra sogni, labirinti, ring e cattedrali. Un romanzo da non perdere.
(a.c.)

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Bianca da morire di Elena Mearini

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Con il noir Bianca da morire, Elena Mearini (Cairo 2016) già da noi molto amata per Undicesimo comandamento: uccidi chi non ti ama conferma la sua cifra narrativa personalissima, che si basa su una prosa poetica intensa ed estrema. Nessuna parola fuori posto, bianca da morirenessuna parola di troppo. Per raccontare una vicenda che, se pare strappata alle pagine della cronaca nera, scava senza pietà nel profondo della coscienza di ognuno/a di noi, sottraendoci per il tempo della lettura alla certezza di aver superato gli inevitabili traumi che ci accompagnano dall’infanzia, i complessi di colpa maturati in seno alla famiglia, le gelosie e le invidie “innocenti” che si sviluppano fra genitori e figli e tra fratelli e sorelle. Un thriller potente e scabroso, creato pagina dopo pagina da una voce narrante che si interfaccia con il mondo dei social network e con la favola – sempre attuale, sempre illusoria – dell’amore romantico che non ha soluzioni.
(a.c.)

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Delitti al microscopio. L’evoluzione storica delle scienze forensi

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Il nuovo libro di Luca Marrone, Delitti al microscopio. L’evoluzione storica delle scienze forensi (), si colloca sulla scia dei suoi scritti precedenti, unendo il suo interesse per le scienze forensi alla sua passione per la letteratura poliziesca.  Marrone cerca infatti sempre uno spazio comune di confronto, di dialogo e di collaborazione fra l’arte della scrittura e la scienza dei fatti (o delle prove), e lo fa intrecciando le tappe della storia delle scienze forense (la nascita dell’anatomia patologica, l’ingresso dell’entomologia, e poi della botanica, della tossicologia, dell’antropometria segnaletica,  della dattiloscopia e della balistica, ecc.) e delle sue strategie di analisi (microscopia, fotografia, BPA, analisi del DNA, ecc.) con le grandi opere della letteratura poliziesca, da Edgar Allan Poe a Arthur Conan Doyle, citati frequentemente nel testo.

Sorvolando sui refusi, che non sono pochissimi, e su qualche caso in cui autori citati nel testo non appaiono in bibliografia – ad esempio “Holmes e Holmes”, che nulla hanno a che vedere con Sherlock ma immagino siano Ronald M. Holmes e Stephen T. Holmes autori di Serial Murder (2009) – il risultato  è (dal mio punto di vista, che è quello della letteratura e degli studi culturali) un ottimo compendio, utile per studenti e aspiranti investigatori, che si legge con interesse per la quantità di casi menzionati (a tratti, sembra di star guardando una lunga puntata di Quarto Grado: e non è una critica). Il libro, inoltre, offre numerosissimi spunti di approfondimento: passando da Jack lo Squartatore a Sacco e Vanzetti, da Al Capone a Dreyfus, e senza trascurare le tante implicazioni socio-culturali (fra cui l’antisemitismo, lo scapegoating e i crimini a sfondo sessuale), il libro di Marrone dimostra l’importanza della scienza forense e la sua intrinseca natura interdisciplinare e trasmette al lettore il suo entusiasmo per la materia che lo stesso Marrone insegna presso la LUMSA di Roma.

Se posso esprimere un desiderio per i prossimi libri che scriverà questo giovane e brillante autore, vorrei trovare citate non solo le opere di Poe, Doyle e compagnia, cosa comunque mi riempie di soddisfazione, ma di iniziare a trovare anche la critica, che finalmente inizia a esistere anche nel nostro Paese: per fare solo un paio di esempi, entrambi usciti su Linguae & Rivista di Lingue  Culture Moderne, parlando del caso Edalji si potrebbe citare “Quando Conan Doyle indaga: il centenario del caso Edalji tra realtà e finzione” di Roberta Mullini (Vol. 6, no. 2 / 2007), e a proposito del caso Lindbergh ci si potrebbe riferire a “La perizia grafica e documentale nel caso Lindbergh” di Beatrice Catenacci (vol. 11, 1-2 / 2012). Questo da un lato darebbe alla bibliografia uno spessore maggiore e al libro intero un valore aggiunto, e, dall’altro, darebbe ancor maggior legittimazione al lodevole intento di Marrone di far interagire scientificamente la crime fiction e le scienze forensi. Come diceva Sherlock Holmes, “the game is afoot”, la partita è cominciata!

a.c.

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