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Ufo 78 di Wu Ming

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Ufo 78 –Wu Ming
Einaudi Torino 2022
Pag. 511 euro 21

Monte Quarzerone, prima e dopo l’agosto 1976. Forse esiste davvero quel massiccio incastrato tra l’Appennino tosco-emiliano e le Apuane, la cima non acuta però vasto, con numerose grotte e balze scure, pareti a strapiombo, crepacci e rocce friabili, cunicoli naturali e artificiali, sentieri solo accennati e spesso bloccati, non lontano da Aulla e Fivizzano, cuore della Lunigiana in provincia di Massa Carrara, sedimenti rocciosi e strati di leggende (sibille, fate, eremiti, briganti, partigiani, ribelli, demoni, un cinghiale bianco, creature di galassia lontane), un alto Pian del Cielo (ideale per il campeggio) subito fuori del grande bosco. Alla fine di agosto 1976 vi scomparvero due quindicenni partecipanti al campo scout, Jacopo e Margherita, capisquadra che si erano segretamente messi insieme al termine dell’anno scolastico e si erano appartati un’ora nel bosco. In tanti batterono la montagna palmo a palmo, facendo base nel piccolo borgo più vicino, Forravalle, senza trovarli né capire cosa potesse essere accaduto. Famiglie, amici e amiche d’avventura e di scuola, esperti e guide del paese, tutti furono segnati dalla vicenda, non l’unico mistero della zona: le statue stele, la nave senza equipaggio con l’ampolla del sangue di Cristo, la piccola Stonehenge di Camporaghena, il castello di Fosdinovo, i faciòn di pietra di Cervara, i simboli sui capitelli della pieve di Codiponte, fra gli altri. Dopo due anni, fra marzo e maggio 1978 (nei mesi cruciali del sequestro e dell’omicidio Moro), accade qualcosa che può gettare qualche luce sulla vicenda. A Roma il paleocosmonauta Martin Zanka (celebre pseudonimo del 54enne Gianmaria Zanchini) sta scrivendo un libro su quei posti, Astronavi su Luni, e scopre che il figlio ex tossico si è rifugiato lì presso la comunità Thanur a Villa Malaspina. A Torino la 26enne antropologa Milena Cravero sta facendo una ricerca sull’ambiente ufologico e presto dovrà andare proprio lì, soprattutto quando gli Ufo aggrediscono uno. Aiuteranno a scavare il passato recente.
Come noto, Wu Ming è un bravissimo collettivo di scrittori attivo ormai da quasi un trentennio. Lo spunto del romanzo è la vita straordinaria del “fantarcheologo” Peter Kolosimo (Modena, 1922 – Milano, 1984), il personaggio di Zanka è costruito per raccontarla con cura ed empatia. La narrazione è in terza varia al passato, congegnata come un’inchiesta contemporanea (insieme scientifica e noir) in quattro movimenti cronologici, su alcuni avvenimenti dei primi mesi del 1978 che coinvolgono Zanka e Milena nel caso dei due ragazzi, spesso alla luce dei libri, dei racconti, delle testimonianze loro e degli altri personaggi (immaginari come i luoghi), raccolti retrospettivamente, alla luce delle conoscenze approfondite (reali) sul contesto geografico, storico e culturale (in fondo trovate pure l’ottima bibliografia selezionata conseguente, frutto della fervida coerente immaginazione). Gli autori pensarono di scriverne già nel 2006 (anche con Giuseppe Genna), accumularono materiali cambiando intreccio molte volte, inframezzarono altri testi sugli stessi argomenti, la prima stesura risale all’estate 2021, tagliando poi altre scene e sottotrame fino al corposo tomo uscito quasi alla vigilia del centenario della nascita della personalità che li ha in parte ispirati (15 dicembre 1922). Riprendono giudizi noti sulla gestione del sequestro di Moro e sui partiti in quegli anni, pur se l’attenzione resta concentrata sulla grande ondata Ufo nel 1978 (da cui il titolo): duemila avvistamenti nei cieli d’Italia e relativa invasione di notizie su ogni mezzo d’informazione, saggi convegni interviste feste studi. Il romanzo si apre così con un convegno che avrebbe dovuto tenersi a Roma iniziando proprio il 16 marzo mattina, poi tutto scorre con stile lentamente coinvolgente, con la dovuta attenzione per le dinamiche relazionali sociali e interpersonali dell’epoca (i differenti e contrapposti gruppi di ufologi, le comuni, gli estremismi, le famiglie, la droga, la meditazione, l’autocoscienza, il sesso), fino alla fine dell’indagine con le trame nere pervasive in quel periodo e i titoli finali circa le sorti dei personaggi. Narrazione colta e avvincente, abbastanza riuscita. Segnalo i diffusi campi magnetici mitologici, a pag. 162. In quell’ecosistema a Thanur (1974-1994) si ascolta anche Battiato e Battiato andrà al funerale dell’ufofilo Giacomo “Jimmy” Fruzzetti ad agosto 2002. Molta altra notevole discografia, specie inglese e tedesca (s’inizia coi Popol Vuh), vino in bottiglia o sanamente sfuso (a Thanur si produceva).
 

Valerio Calzolaio

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Cristina Brondoni, Le case dei serial killer (Clown Bianco 2022)

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Ho sempre amato le case della letteratura e del cinema, soprattutto quelle stregate dei romanzi gotici e dei film dell’orrore, ma anche quelle della crime fiction, dove i delitti avvengono preferibilmente nella “camera chiusa”. Intitolai la mia tesi di dottorato Quattro studi in rosso (Il Ponte Vecchio 1998) ed era dedicata allo studio del protagonista della Donna in bianco di Wilkie Collins, al salotto di Sherlock Holmes (a. Conan Doyle), alla soffitta di Dorian Gray (O. Wilde) e naturalmente al laboratorio del dott. Jekyll (R.L.Stevenson). Quanti ricordi! All’inizio di ogni capitolo avevo inserito la piantina delle rispettive case, pazientemente ricostruita attraverso letture su letture e voli di fantasia, non potendo usare metodi più scientifici.

Forse per questa ragione, forse per altre, ho trovato interessantissimo il volumetto di Cristina Brondoni (giornalista, criminologa e amica del cuore di Urbinoir) Le case dei serial killer (Clown Bianco 2022). Qui non si tratta di personaggi letterari ma di persone in carne e ossa, ma il fascino esercitato dalla casa – dalle sue pareti, dalla sua conformazione, dalla sua posizione nel quartiere, dai colori e dai rumori – è identico. 

Sappiamo bene da anni e anni di frequentazioni cinematografiche che la casa non è il luogo sicuro che vorremmo, e sappiamo altrettanto bene che i confini tra realtà e immaginazione sono labili e transitori. Di conseguenza, addentrarci nel mondo domestico dei “mostri” non ci trova del tutto impreparati. E Brondoni, che spazia dall’800 ai giorni nostri, è una guida sopraffina e competente, mai sazia di rivelarci particolari e di sollecitare la nostra curiosità senza mai cadere nella morbosità e nella mancanza di rispetto per le vittime.

Un pregio ulteriore: le immagini (alcune perfino a colori). Una dimenticanza: l’indice, che aiuterebbe a ritrovare nomi e luoghi a una seconda lettura. Sì, perché leggerlo una volta sola non vi basterà.

a.c.  

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Alessandro Berselli vince GialloGarda 2022

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E basta con questi colleges americani !!! Basta con le confraternite e la ivy league ! 
 
Finalmente abbiamo IL LICEO, l’ultimo cattivissimo romanzo di Alessandro Berselli, amico da sempre di Urbinoir e oggi (9 ottobre 2022) vincitore del prestigioso Premio Giallo Garda. 
 
Congratulazioni all’autore, e anche alla giuria che ha riconosciuto la qualità’ della sua scrittura e l’importanza delle tematiche trattate.
Nell’attesa che il Nobel per la letteratura prima o poi sia vinto da un/a giallista, chapeau al nostro Berselli e grazie alla squadra di Giallogarda !!!!
 
a.c.

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I nuovi apocrifi sherlockiani di Luigi Pachì

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Nuove mappe dell’apocrifo (Luigi Pachì, Delos Digital 2021) è, come informa il sottotitolo, “Un percorso mirato tra gli autori internazionali e nazionali di nuove avventure sherlockiane”. Non solo: non si pone obiettivi accademici o enciclopedici, quanto piuttosto come “un lavoro che va letto come se stessimo parlando intorno a un tavolo tra amici e appassionati” (p. 6). Da anni Pachì raccoglie intorno allo Sherlock Magazine un cenacolo di autori, traduttori e studiosi: penso a Enrico Solito, a Luca Sartori, ma anche alle giovani vincitrici del premio Tradunoir: studentesse dell’Università di Urbino che ogni anno ottengono un contratto di traduzione.

L’arte dell’apocrifo sherlockiano è indagata in questo volume con cura, distinta dalla scrittura di pastiches, ed esaminata nelle sue molteplici declinazioni. Chi vuole immergersi nella lettura di questo volume di oltre 500 pagine deve sapere che affronterà un viaggio impegnativo ma pieno di soddisfazioni e sorprese. Il volume va ad aggiungersi ai pochi altri studi “scientifici” sul tema: vale la pena ricordare almeno l’ottimo Oltre il Sacro Canone del già citato Sartori (Aras 2016), la cui recensione trovate qui:

https://www.sherlockmagazine.it/8923/oltre-il-sacro-canone-di-luca-sartori-aras-edizioni 

(a.c.)

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Una storia dei Profili criminali di Luca Marrone

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Profili criminali. Ricerca criminologica e investigazione (Luca Marrone, Bulzoni Editore 2022) è una lettura interessante sia per gli addetti ai lavori, sia per gli appassionati d noir e poliziesco. Luca Marrone, del resto, è una garanzia: consulente investigativo, docente, autore di numerosi volumi, ha sempre coniugato una professionalità ineccepibile con una grande conoscenza della letteratura e del cinema come fenomeni culturali fondamentali per entrare nello spirito dell’investigazione e della mente criminale. 

Vedere citati autori come Edgar Allan Poe o Wilkie Collins, personaggi come Sherlock Holmes, e film come Un giorno di ordinaria follia accanto ai casi che hanno fatto la storia della criminologia (da Jack the Ripper a Zodiac) fa capire l’ampiezza degli interessi di Marrone e conferma la qualità “convergente” della cultura, per dirla con le parole di Henry Jenkins. 

Si tratta, insomma, di un volume veramente colto e completo sul criminal profiling – la sua storia, i suoi principali esponenti, le tecniche investigative… il tutto scritto con semplicità e chiarezza nel rispetto del rigore accademico, e corredato da una bibliografia approfondita ed esaustiva: un volume che non può mancare sullo scaffale dello scienziato forense e nella biblioteca dei lettori / spettatori più esigenti di crime fiction.

(a.c.)

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Un pianeta piccolo piccolo: Storie di culture intrecciate: il nuovo libro di Alessandra Calanchi

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Un pianeta piccolo piccolo : Storie di culture intrecciate / a cura di Alessandra Calanchi ; postfazione di Ben Pastor. – Scapezzano : Ventura Edizioni, 2022. – 168 p. – (Parole madri). – ISBN 979-12-80517-53-1

 

Per leggere la recensione di Valerio Malintesa su Girodivite

 

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In libreria Murder by Jury di Ruth Burr Sanborn tradotto da Paola de Camillis Thomas

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La parola ai giurati (12 Angry Men) è un film del 1957 diretto da Sidney Lumet. La vicenda si svolge quasi completamente nella sala dove sono si riunisce la giuria che deve decidere riguardo alla colpevolezza di un giovane accusato di essere l’assassino del padre. Poiché in casi come questi il verdetto deve essere unanime, e all’inizio 11 giurati si dichiarano a favore della colpevolezza, segue una discussione che invece di portare all’unanimità porta progressivamente a dubitare cosicché alla fine il risultato è capovolto e al giovane (innocente) viene risparmiata la sedia elettrica. 

Conoscevo bene questo film quando ho avuto tra le mani un romanzo di argomento analogo e dal titolo intrigante, ma che non conoscevo affatto: Un colpevole in giuria, che ho scoperto trattarsi della traduzione italiana di Murder by Jury di Ruth Burr Sanborn (1932) a opera di Paola de Camillis Thomas. Tanto di cappello alla traduttrice e anche a quella infaticabile talent scout che è Tiziana Elsa Prina, la fondatrice delle Edizioni Le Assassine.

Il romanzo (scritto da una donna, è bene ripeterlo) precede di oltre vent’anni il testo originale da cui è tratto il film di Lumet, un testo scritto per la TV da Reginald Rose nel 1954. È ambientato in America, precisamente a Sheffield, in Alabama, nel periodo del Proibizionismo e della Grande Depressione. Non è l’unico argomento a suo favore: la trama è avvincente, con colpi di scena che si succedono fino all’ultimo, e il congegno narrativo è ottimo ed efficace. In questo caso è una donna a essere accusata ingiustamente, così come è una donna (una giurata) a insistere sulla necessità di non commettere giudizi affrettati, ed è ancora una donna a essere assassinata durante la riunione della giuria.

Un romanzo che valeva certamente la pena di recuperare dall’oblio, tradurre e far conoscere al pubblico di lettori e lettrici, e che può rivelarsi estremamente interessante anche per gli esperti di scienze forensi e per gli studiosi di cultura americana. Forse una breve introduzione o postfazione sarebbe stata la ciliegina sulla torta, anche per sottolinearne sia la carica innovativa in rapporto al film di cui sopra, sia la legacy rispetto a un altro importante racconto, “A Jury of Her Peers” (“Una giuria di sole donne”) di Susan Glaspell (1918), che già testimoniava l’importanza dello sguardo femminile nelle indagini poliziesche, nei procedimenti legali e nelle aule di tribunale.

(a.c.)

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Breve storia del romanzo poliziesco di Leonardo Sciascia

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Leonardo Sciascia
Con una introduzione di Eleonora Carta
Letteratura
Graphe Perugia 2022
Pag. 43 euro 6,50

Pianeta umano, da millenni. Occidente, da quasi due secoli. “La principale ragione per cui un pubblico vastissimo, in ogni parte del mondo, legge (sarebbe dir meglio consuma) romanzi polizieschi (“gialli” in Italia, “neri” in Francia: dal colore della copertina che gli editori Mondadori e Gallimard hanno scelto nel momento in cui il poliziesco diventava un genere a sé) …” potrebbe essere trovata in una frase di Alain rintracciabile nel Sistema delle arti (Alain era lo pseudonimo del filosofo e giornalista francese Émile-Auguste Chartier, 1858-1951), oppure in riflessioni di Marx e Freud, sintetizzabili in breve. “Nei romanzi del genere sono impiegati senza precauzione – senza la precauzione, cioè, che è dell’arte – dei mezzi che con notevole approssimazione si possono definire di terrore: e l’effetto è fuga di pensieri, meditazione senza distacco. La lettura di un poliziesco è, nel senso più proprio della parola, passatempo: il tempo non più portatore di pensiero o di pensieri, non più scandito da condizioni e condizionamenti, è come sommerso in una fluida e opaca corrente emotiva …”. Questo è l’incipit del ragionamento di Leonarda Sciascia sul settimanale Epocadel 20 settembre 1975, proseguito nel numero successivo e ripubblicato come saggio di una raccolta di scritti del 1998 (se ne possono rintracciare un paio di versioni quasi identiche). Con tale premessa Sciascia individua già all’interno della Bibbia il primo racconto poliziesco, ingredienti identici a quelli a lui contemporanei, per un genere le cui origini più vicine e precise possono essere anche tecnicamente distinte in Edgar Poe. La traccia di ragionamento è stata ribadita da decine di autori, recensori e studiosi in centinaia di pezzi, più o meno giornalistici, solo aggiornando i termini.
Il siciliano europeo Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) fu presto appassionato anche di letteratura di lingua angloamericana, avido lettore degli scrittori popolari e, tra essi, sia dei grandi del cosiddetto giallo classico di fine Ottocento e primi Novecento che degli autori della nuova scuola hard-boiled, a partire dal capostipite Dashiell Hammett, da cui poi il genere sarebbe divenuto anche noir per la carica di denuncia e di prefigurazione (propria anche di molti romanzi di Sciascia). L’autore è una lettura imprescindibile soprattutto per chi ama scrivere: si gode, si pensa e s’introietta pure uno stile chiaro e limpido. Nel 2021 sono stati numerosi i volumi, le mostre e gli eventi che gli sono stati dedicati in tutt’Italia per il centenario della nascita. Fra di essi possiamo considerare la riedizione di questo breve significativo testo giornalistico di storia della letteratura. Lo schema di ragionamento era un buon cliché già cinquant’anni fa, pur argomentato in modo colto e sincero: il poliziesco come genere minore di puro intrattenimento. Valeva e vale spesso come premessa alla disanima personale di cosa sia alta letteratura di pensiero, nel caso (non solo) di Sciascia come esperienza di scardinamento del genere e testimonianza di un “altro” modo di scrivere polizieschi. In realtà, la dialettica risale indietro (più o meno ai tempi della Bibbia) e merita di essere rivalutata a partire da Sciascia, come opportunamente fa Eleonora Carta nell’introduzione, nella quale l’autrice sottolinea come comunque Sciascia “celebra” il genere e, in qualche modo, “riabilita” la propria conseguente passione, forse anche per codificare regole che i propri gialli cercarono di sovvertire, scomporre, rovesciare. Nella sua “storia” Sciascia tratta Poe, Conan Doyle, Van Dine, Freeman, Agatha Christie, Hammett, Chandler, cita brevemente altri esemplari colleghi e ricorda, a contrasto, solo Greene, Bernanos, Gadda (e Borges) fra “i grandi scrittori” a lui recenti, “che, per divertimento o congenialità, hanno scritto dei gialli”. In fondo utile la cronologia della vita di Sciascia e l’indice dei nomi di persona e dei titoli citati.
 
Valerio Calzolaio

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