Si è svolta il 14 e 15 ottobre nell’atmosfera calda e stimolante della Cantina Marsadri a Raffa di Puegnago sul Garda la nuova edizione del Festival GIALLOGARDA, che ha radunato grazie alla mitica Laura Marsadri scrittori, giornalisti, studiosi e un folto pubblico di lettori e lettrici appassionati di giallo. Fra un calice di “Pioppo Rosso” e un libro da sfogliare con curiosità, è stato possibile toccare con mano la qualità non solo dei vini (molto alta!) ma anche delle opere letterarie, sia quelle in gara (quest’anno nella sezione inediti vinta dal L’autista di Dio di Giada Bredeschi) sia quelle in esposizione. E’ stato così che, accanto al mercatino di originalissimi ciondoli fatti a libro (l’artista è Ylenia Bagato) ho trovato alcuni romanzi molto interessanti e ne voglio segnalare soprattutto due, entrambi di Todaro Editore, giallissimi fin dalla copertina, aperta la quale si ha subito la conferma che si tratta di prodotti d.o.c.g.: la collana è infatti diretta da Tecla Dozio – l’inchino è d’obbligo. E’ infatti uscito in questa collana sia il bel libro vincitore della scorsa edizione di Giallogarda (sezione editi), Come bestie ferite di Luca Bonzano, sia il recentissimo I bambini di Escher di Paolo Pedote. “Questo è il suo primo noir”, avverte il bio-blurb in quarta di copertina, una frase che ha innescato la mia (scettica) curiosità. Sì, perché è facile etichettare un libro come ‘noir’, più difficile è mantenere la promessa. Invece, il romanzo di Pedote non tradisce le aspettative: è pur vero che pare attingere dalle serie tv inglesi e americane da Barnaby a Major Crimes (incesto, traffico di bambini, ecc.), ma l’atmosfera rarefatta, il ritmo incalzante, il labirinto di sottotrame e la fragilità dissimulata degli ‘eroi’ ci convincono subito. E’ vero, siamo di fronte a un noir, e lo dico alzandomi in piedi in segno di rispetto. Ho amato soprattutto le frasi che risuonano con quelle dei grandi autori del noir (e con le similitudini del Maestro, Chandler) – “sapeva che quelli come lei tornano sempre” … “Era matematico, era l’unica certezza che aveva”… “come gli scarafaggi quando li illumini con la torcia” … “guardava silenzioso quel duetto, finto come i soldi del Monopoli” … e ho adorato i quadretti amari che strappano un sorriso – l’islamico che sorseggia Coca Zero, la mozzarella avariata del discount, la tipica coppietta del centro commerciale, i baby-pirla, i cyber-poeti, i parkouristi e i graffitari. Un mondo fantasmagorico – che noi ben riconosciamo come la nostra realtà quotidiana – in cui si muove il protagonista, Nerone, noir fin dal nome: un uomo malato di “fuga dissociativa”, che cerca di ricostruire un passato troppo doloroso con l’aiuto di una psichiatra (anche qui non possiamo ignorare gli ammiccamenti a Memento e The Mentalist) e che a sua volta cerca di aiutare una poliziotta, anzi una “sbirra” che della dark lady è l’erede ibrido più interessante degli ultimi anni (forse persino della mia amata guerrera di Marilù Oliva). Nerone è la quintessenza del tough guy, l’ultimo distillato, o meglio quel che ne resta nell’attuale disgregazione identitaria e sociale: un duro la cui dolcezza emerge a tratti, come nella scena straordinaria in cui lui e un buttafuori di colore – più duro ancora di lui – parlano della defunta Alicia, tossica e depravata, con una rara delicatezza di cui la maggior parte dei maschi ‘perbene’ (nella letteratura e nella realtà) non sarebbe capace. Nerone non ricorda nulla e nessuno: la Shoah, Shakespeare, Leopardi, Sherlock Holmes – i quattro pilastri della nostra cultura occidentale o, di nuovo, di quel che ne resta – non gli dicono alcunché. Diventa così lui stesso tabula rasa, pagina bianca su cui Pedote scrive la sua storia. Il cui titolo è legato a una fotografia che a poco a poco si rivela essere il principale indizio – e il bandolo della matassa – della storia: Escher ci dice infatti non solo che la realtà è enigmatica ma che l’arte può rappresentare ciò che in natura è impossibile. Di qui la poetica implicita nel romanzo (che come avverte il narratore non è un romanzo di Ellroy), che fa l’occhiolino alla scena degli specchi ne La signora di Shangai di Welles ma anche all’Inquilino del terzo piano di Polansky, e anche in un certo senso all’assioma holmesiano secondo cui una volta eliminato l’impossibile quel che resta, per quanto improbabile, deve pur essere la verità. Ma il noir può davvero eliminare l’impossibile? O aspira piuttosto a inglobarlo, a farlo proprio per poi trascenderlo, pur nella sacrosanta esclusione del soprannaturale? Pedote ci regala un vero gioiellino che, forse, risponde a questa domanda.
a.c.
Laura Marsadri – La signora in giallo