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POSTDEMOCRAZIA di Tiziano Mancini

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POSTDEMOCRAZIA
di Tiziano Mancini

L’articolo di un intellettuale pose il seme. Ne seguirono alcuni editoriali e i contraddittori degli opinionisti, poi il dibattito approdò in tv, rimbalzando dalle pieghe di un talk show a un’inchiesta giornalistica, finché alla fine divenne la prima notizia di tutti i tg: i migliori leader erano tutti morti. Tra tutti i politici, ma anche tra i manager e i capitani d’industria, sindacalisti e giornalisti, intellettuali e scienziati, leader religiosi e filosofi, a nessuno mancava di avere un predecessore ormai defunto che non fosse stato più capace, più efficiente, più carismatico di lui. Ci si giustificò constatando che nella Storia c’era un’enorme maggioranza di morti rispetto ai vivi, ma l’affermarsi del concetto fece sì che si addivenne alla decisione finale: dare il voto anche ai morti. Fu una scelta sofferta e discussa, ma il degrado della civiltà umana era tale che il collasso era ormai imminente, miliardi di esseri umani erano in fuga dalle loro isole ormai sommerse dalle acque, dalle terre un tempo floride ridotte a deserti invivibili. Le città esplodevano negli intasamenti del traffico e soffocavano dentro nere nubi di gas asfissianti. Le cloache ospitavano masse di diseredati che si cibavano di escrementi: mutazioni genetiche legate all’istinto di sopravvivenza consentivano anche questo, ma per quanto tempo ancora non era dato di sapere. In un contesto simile, i morti, che erano la stragrande maggioranza degli elettori, ebbero gioco facile nell’imporre i propri modelli.
Nei supermercati i cibi un tempo più desiderati erano diventati sgraditi e restavano sui banchi anche a prezzi stracciati. Il cibo che un tempo era riservato agli amici a quattro zampe andava a ruba e costava sempre di più. I negozianti diffondevano miasmi di animale decomposto nei reparti della carne e degli insaccati per renderli più appetitosi: appena i vermi facevano capolino quella nuova clientela si accalcava all’acquisto sconsiderato dai prezzi senza più controllo. Il cibo tuttavia non aveva il tempo per avariarsi, per cui lo si comprava ancora fresco per poterlo lasciare nei frigoriferi spenti, nelle terrazze assolate, nelle cantine malsane. Mosche e penticane erano i nuovi animali domestici, i nuovi fidati padroni delle cucce e dei cestini imbottiti.
Tutto questo non poteva che favorire l’ascesa di un leader che riassumesse in sé tutte le caratteristiche di questa putrescenza globale. C’era solo un problema. Silvio era ancora vivo. Nessun cadavere, per quanto repellente, avrebbe avuto lo stomaco di votarlo, a meno che non fosse stato finalmente una carogna vera. Quando un sondaggio glielo confermò, senza pensarci due volte, decise di uccidersi. Sarebbe stato nuovamente il leader della maggioranza, di nuovo in sella, e stavolta per sempre, per l’eternità.
Così fece. E il progresso continuò.

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