Sabrina aveva ricevuto una mail contenente un invito a una camminata in collina; l’appuntamento era al parco dei Gessi, il 10 agosto alle 21. La organizzava un’associazione culturale bolognese. Aveva partecipato altre volte a iniziative del genere – gite nei sotterranei, brevi viaggi sui canali – e si era trovata bene: persone tranquille, di cultura medio-alta, poco invadenti. Così, decise di andare. Da sola. Sì, perché le amiche erano tute in vacanza, i famigliari in giro per il mondo, e lei era a casa solo perché qualcuno doveva pur dar da mangiare al gatto e accarezzarlo di tanto in tanto. Del resto, meglio essere da soli per guardare in alto, verso il cielo, alla ricerca di una stella cadente: ed esprimere un desiderio.
Già, il desiderio. Iniziò a pensarci fin dalla mattina – per lei, che non aveva bisogno di nulla, non era cosa facile. Scartò subito l’idea di un’auto nuova, di una casa nuova, di abiti e amanti – lei stava su un livello più alto. Pensò ad aumenti di stipendio, a incontri speciali, a … ma nulla le sembrava adeguato. Finché, presa da un afflato spirituale, pensò: Vorrei morire il più tardi possibile, circondata dall’affetto dei miei cari.
Poteva andare? Ma neanche per sogno. Andava aggiustato – qualche precisazione in più avrebbe certamente sortito un effetto migliore. Così, esercitandosi mentalmente per la serata, il desiderio divenne: Vorrei morire il più tardi possibile (intendo come anno, non come ora del giorno), circondata dall’affetto dei miei cari (di cui spero che quelli più giovani di me saranno ancora tutti vivi, o perlomeno i miei figli e i nipoti che mi auguro di avere nel frattempo).
Era quasi soddisfatta. Ma durò poco. Tutto qui? In fondo, non poteva – mantenendo un’unica frase – aggiungere ancora qualcosa, a corollario di quel suo desiderio che, dopo tutto, non era poi così esoso? Ed ecco come fu rielaborato: Vorrei morire il più tardi possibile (intendo come anno, non come ora del giorno), circondata dall’affetto dei miei cari (di cui spero che quelli più giovani saranno ancora tutti vivi, o perlomeno i miei figli e i nipoti che mi auguro di avere nel frattempo), dopo aver trascorso una vita felice, ricca di soddisfazioni professionali (una progressione di carriera, per esempio) e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché in buona salute fisica e – last but not least – senza provare alcun dolore.
Si esercitò tutta la giornata. E quando venne l’orario, era pronta come una scolaretta il giorno della recita di fine anno.
La passeggiata fu piacevole, anche se Sabrina era poco propensa a chiacchierare – si limitava a cenni del capo, sorrisi, tutta presa dall’esercizio mnemonico. Vorrei morire il più tardi possibile (intendo come anno, non come ora del giorno), circondata dall’affetto dei miei cari (di cui spero che quelli più giovani saranno ancora tutti vivi, o perlomeno i miei figli e i nipoti che mi auguro di avere nel frattempo), dopo aver trascorso una vita felice, ricca di soddisfazioni professionali (una progressione di carriera, per esempio) e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché in buona salute fisica e – last but not least – senza provare alcun dolore.
A un tratto il cielo fu scuro, e si riempì di stelle. Ma nessuna stella cadeva – cioè, nessuna luce proveniente da milioni di anni prima bla bla… e Sabrina recitava mentalmente il suo mantra. Qualcuno iniziò a gridare: eccola! e qualcun altro: un’altra laggiù! Che spettacolo! Ma lei, niente. Pensò che forse il desiderio poteva essere ridotto un po’. E lo riformulò così: Vorrei morire il più tardi possibile (intendo come anno, non come ora del giorno), circondata dall’affetto dei miei cari (di cui spero che quelli più giovani saranno ancora tutti vivi, o perlomeno i miei figli e i nipoti che mi auguro di avere nel frattempo), dopo aver trascorso una vita felice, ricca di soddisfazioni professionali
Tutti vedevano stelle cadenti. Eccone una! Una là! Eccone un’altra! Solo Sabina, un po’ appartata in un angolo del grande prato, sembrava non vederne nessuna. E intanto recitava: Vorrei morire il più tardi possibile (intendo come anno, non come ora del giorno), circondata dall’affetto dei miei cari (di cui spero che quelli più giovani saranno ancora tutti vivi, o perlomeno i miei figli e i nipoti che mi auguro di avere nel frattempo). Ma ancora niente. Forse la formulazione del desiderio era ancora troppo lunga? E sia, l’accorcerò ancora, pensò Sabrina.
Vorrei morire… E finalmente, la vide. Una grossa stella, luminosa, bellissima, la più bella di tutta la serata, bella da mozzare il fiato, attraversò tutta la volta celeste.
Il corpo fu ritrovato l’indomani all’alba, riverso sul prato, da un operatore ecologico del comune. Nessuno del gruppo si era accorto della scomparsa di Sabrina. Lui la guardò per qualche secondo, sospirò e chiamò il 113. Gli dissero di restare in zona; lo fece. Arrivarono i carabinieri, gli fecero qualche domanda; poi fu libero di andarsene. Si pensò a un malore. Il corpo fu rimosso.
Della stella assassina, nessuna traccia.
Alessandra Calanchi