La parola ai giurati (12 Angry Men) è un film del 1957 diretto da Sidney Lumet. La vicenda si svolge quasi completamente nella sala dove sono si riunisce la giuria che deve decidere riguardo alla colpevolezza di un giovane accusato di essere l’assassino del padre. Poiché in casi come questi il verdetto deve essere unanime, e all’inizio 11 giurati si dichiarano a favore della colpevolezza, segue una discussione che invece di portare all’unanimità porta progressivamente a dubitare cosicché alla fine il risultato è capovolto e al giovane (innocente) viene risparmiata la sedia elettrica.
Conoscevo bene questo film quando ho avuto tra le mani un romanzo di argomento analogo e dal titolo intrigante, ma che non conoscevo affatto: Un colpevole in giuria, che ho scoperto trattarsi della traduzione italiana di Murder by Jury di Ruth Burr Sanborn (1932) a opera di Paola de Camillis Thomas. Tanto di cappello alla traduttrice e anche a quella infaticabile talent scout che è Tiziana Elsa Prina, la fondatrice delle Edizioni Le Assassine.
Il romanzo (scritto da una donna, è bene ripeterlo) precede di oltre vent’anni il testo originale da cui è tratto il film di Lumet, un testo scritto per la TV da Reginald Rose nel 1954. È ambientato in America, precisamente a Sheffield, in Alabama, nel periodo del Proibizionismo e della Grande Depressione. Non è l’unico argomento a suo favore: la trama è avvincente, con colpi di scena che si succedono fino all’ultimo, e il congegno narrativo è ottimo ed efficace. In questo caso è una donna a essere accusata ingiustamente, così come è una donna (una giurata) a insistere sulla necessità di non commettere giudizi affrettati, ed è ancora una donna a essere assassinata durante la riunione della giuria.
Un romanzo che valeva certamente la pena di recuperare dall’oblio, tradurre e far conoscere al pubblico di lettori e lettrici, e che può rivelarsi estremamente interessante anche per gli esperti di scienze forensi e per gli studiosi di cultura americana. Forse una breve introduzione o postfazione sarebbe stata la ciliegina sulla torta, anche per sottolinearne sia la carica innovativa in rapporto al film di cui sopra, sia la legacy rispetto a un altro importante racconto, “A Jury of Her Peers” (“Una giuria di sole donne”) di Susan Glaspell (1918), che già testimoniava l’importanza dello sguardo femminile nelle indagini poliziesche, nei procedimenti legali e nelle aule di tribunale.
(a.c.)