Se guardate in Wikipedia alla voce noir – sia romanzo sia film – leggerete: “sottogenere del giallo”. Beh, in un’epoca che ha contestato il canone e i generi, parlare di sottogeneri ci sembra del tutto fuori luogo. Primo, la letteratura non è una matrioska, e secondo: chi l’ha detto che il noir sarebbe un sottogenere del giallo? Non potrebbe essere viceversa? Almeno nell’accezione odierna, il noir è più che altro una questione di atmosfera, di luoghi, di mood. Certo, certo… il noir americano, il noir francese, gli anni ‘40… per carità, diamo a Cesare quel che è di Cesare… ma allora diamo anche a Poe quel che è di Poe (Il gatto nero non sarebbe un noir?) e smettiamo di mettere in ordine gerarchico i colori. E ripartiamo da capo.
Nel noir non è il crimine a essere in primo piano (crime fiction), né la detection (who-dun-it), né la suspense (mystery), né il brivido (thriller), né il sangue (splatter), e la lista potrebbe continuare. Il noir si definisce benissimo tramite una serie di negazioni: come il nero, colore-non-colore che li assorbe tutti ma non ne riflette nessuno, il noir non si accontenta di narrare una storia ma vuole trasmettere gli odori e i sapori del male, vuole farvi partecipare alle suggestioni della notte, vuole farvi riflettere sul mondo che circonda il criminale, sui risvolti psicologici di un delitto che chiunque potrebbe commettere, sulla società malata, corrotta, putrescente da cui emergono figure di stanchi antieroi metropolitani che brandiscono pistole puntate verso di voi.
Il noir può permettersi di uscire fuori dai salotti vittoriani e di calpestare le strade posturbane del nuovo millennio dove mai camminereste da soli, può permettersi di indagare nei più impervi territori della mente e nelle trasgressioni erotiche più estreme, può permettersi di trascinare sulla pagina realtà sociali scomode come gli emigrati clandestini, i trans, gli stupratori, le prostitute, la criminalità organizzata, la bioetica. Non dovendo obbedire alla legge del lieto fine, il noir può permettersi di arrivare là dove un “giallo” non potrebbe spingersi. Non dovendo seguire le regole enunciate dai teorici della detection, il noir può permettersi uno sguardo grandangolare sul sociale, e denunciare il lavoro clandestino, le sette sataniche, l’ecomafia, la non-sicurezza sul lavoro, il business dello smaltimento dei rifiuti e della speculazione edilizia e quant’altro.
Ma allora perché non limitarsi a leggere (o guardare in tv) la cronaca nera?
Perché il noir, grazie a Dio, non vuole far leva sulla vostra sete di notizie. Non gli interessa il facile scandalo. Non vuole muovervi a compassione. E non vuole neanche ricostruire la scena del crimine in uno studio televisivo o meno che mai darvi informazioni falsamente rassicuranti. Al contrario, vuole farvi pensare su quanto accade intorno ogni giorno: sui meccanismi del crimine, sì, ma anche sulle responsabilità e sulle connivenze di ciascuno di noi, sulla rete di omissioni e di atti mancati in cui siamo quotidianamente coinvolti, su quel confine fragilissimo che separa le persone “normali” dagli psicopatici che rischiamo di divenire in un attimo.
E lo fa nei modi consueti della letteratura: in poesia o in prosa, attraverso il teatro e il cinema, il fumetto, il racconto, il romanzo. A volte dialogando col “giallo”, a volte no.
Noi, almeno, il noir lo vediamo così.
E siccome stiamo all’università di Urbino, l’abbiamo chiamato Urbinoir.
Alessandra Calanchi