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Brividi sul divano

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B. Balsamo e G. Signoretti, BRIVIDI SUL DIVANO. I telefilm di Alfred Hitchcock (Marietti 1820, Bologna 2019) 

Chi non conosce Hitchcock? Chi non ha visto almeno una volta almeno uno dei suoi film? Forse sono meno numerose le persone che conoscono la serie Alfred Hitchock Presents, comprendente ben 268 puntate (con la regia del Maestro) trasmesse dalla CBS prima e dalla NBC poi, per sette stagioni, dal 1955 al 1961. Negli ultimi anni anche in Italia è stato possibile vederne qualcuna. 

Questo agile ma intenso libretto di Beatrice Balsamo (psicanalista e direttrice scientifica di Mens-a presso l’Università di Bologna) e Giorgio Simonelli (docente di Teoria e tecniche del giornalismo presso l’Università Cattolica di Milano) è quello che mancava per poter apprezzarle a 360 gradi. In poco più di 100 pagine, in edizione tascabile, è un vero gioiello che ci guida alla visione, alla comprensione, alla percezione dei particolari e dei backstages. La costruzione della suspense è indagata con cura, e accanto alla puntuale ricostruzione storico-culturale troviamo i nomi degli autori e sceneggiatori, pezzi da novanta che vanno da Roald Dahl a Ed McBain.

E veniamo al titolo: il divano è quello del terapeuta ma anche quello dello spettatore televisivo, il quale è – lo sappiamo bene – parte imprescindibile della visione di un film. E vedremo, leggendo queste pagine, quanto i brividi evocati dal titolo siano parte integrante del processo di identificazione, dell’immaginario culturale personale e collettivo, di una indagine sul sé.

(a.c.)

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Oltre la notte, il Noir americano (1940-1950) tra letteratura e cinema

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Proponiamo qui alcune considerazioni scritte da Beatrice Balsamo, psicanalista e studiosa di noir, autrice del volume Hitchcock. Il volto e la cosa (2010) e coordinatrice della rassegna che si è tenuta a Bologna (febbraio-marzo 2016) a cui ha partecipato, fra gli altri, lo scrittore Valerio Varesi. L’Associazione APUN ha promosso tale rassegna partendo dal soggetto nella contemporaneità: il genere noir consente infatti di indagare le zone d’ombra che ci riguardano e la legalità come loro argine simbolico.

Si può far risalire l’inizio del genere noir americano alla scrittura di Dashiell Hammett e al film di John Huston Il mistero del falco (The Maltese Falcon, U.S.A. 1941, int. Humphrey Bogart, Peter Lorre, Mary Astor, Gladys George). Le caratteristiche del genere noir delineano un mondo dove le ombre si addensano e rubano terreno alla luce, e le apparenze nascondono spesso realtà ben diverse, e l’angoscia e l’incubo determinano una divisione nel soggetto che non è padrone di se stesso. Proprio negli anni ’40 fiorisce questo genere, assai longevo nella storia del cinema, e i film di questo genere mettono in scena un eroe che non domina più gli eventi e se ci riesce è solo dopo aver messo in discussione molte delle sue certezze iniziali. Iniziava in quegli anni l’etica freudiana che ricorda a tutti la necessità di un salto di qualità dall’innocenza all’età adulta. È in questo contesto che il noir prende forma, influenzato dalla asciutta narrativa hard-boiled e dal bisogno di ripensare il rapporto con il reale (non è un caso che siano proprio i film noir a diffondere a Hollywood la pratica delle riprese in esterni, dove l’estetica ultra controllata degli studios lascia il passo alle concretezze più dure e “sporche” delle location: le strade, la città). Perfino la recitazione diventa più nervosa e realistica, dimenticando le lezioni accademiche e gli influssi “teatrali” a favore di un linguaggio più vero e una dizione meno controllata. Ciò mise a punto due nuovi caratteri cinematografici: l’investigatore privato, che si porta dietro il peso di un passato di delusioni ma che non vuole arrendersi di fronte all’immoralità e all’irrazionalità del mondo, e la dark lady, tentatrice fascinosa. L’eroe e l’eroina del cinema noir scoprono di dover scendere a patti con ciò che avevano “rimosso”: le loro pulsioni più nascoste, le loro passioni irrefrenabili. Il rapporto tra presente e passato si complica. I sempre più numerosi flashback ricordano allo spettatore che le scelte di ieri influiscono sulle azioni di oggi in una maniera che non è più solo di causa/effetto. Il passato assomiglia a un fardello che rende il presente sempre meno chiaro e decifrabile. Proprio come ci mostra la macchina da presa che inquadra i personaggi all’interno di uno spazio urbano più complesso e misterioso. Aumentano le zone d’ombra, le nebbie, gli angoli bui, le immagini sfocate. Anche il dialogo non è più strumento fondamentale per seguire lo svolgimento di un film, perché spesso può ingannare o fuorviare. I percorsi dei personaggi hanno abbandonato la linearità, per perdersi dentro veri e propri labirinti, non solo reali, ma il più delle volte metaforici e alludono alle pulsioni più nascoste: l’avidità, la gelosia, l’odio, l’invidia che guidano le persone lungo un cammino che porterà lo spettatore a confrontarsi con la parte più nera e nascosta dell’animo umano. Ciò è espresso attraverso una rivoluzione narrativa di riprese soggettive, di uso più deciso della voce fuori campo, di focali corte e cortissime che arrivano a deformare le immagini che sullo schermo danno forma alle angosce e alle paure dell’inconscio. La riflessione che ci porta il genere noir a nostro avviso è di particolare rilevanza anche per comprendere l’oggi.

A.C.

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