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Note noir all’urbino jazz club

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Per l’estate musicale di Urbino Jazz Club, in programmazione il 20 Agosto 2021 la presentazione del volume Non ricordo. Amnesie, vuoti di memoria, rimozione nella letteratura e nel cinema noir a cura di Alessandra Calanchi e Roberto Mario Danese pubblicato da Aras edizioni per la collana Urbinoir Studi, e la premiazione del Concorso Haiku  noir 2020 condotta da Tiziano Mancini e Giovanni Darconza.

di seguito la locandina dell’evento

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QUESTIONI DI “ATMOSFERA”

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di Ettore Catalano, professore onorario Università del Salento

per gentile concessione dell’autore, che ringraziamo.  Cogliendo l’occasione per raccomandare la lettura del suo recentissimo  romanzo Un’infezione latente.

 

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Esiste, in Italia, un dibattito anche molto acceso tra quanti affermano che il “noir” sia un sottogenere del “giallo” e quanti, al contrario, con molta passione critica, ne rivendicano una sorta di autonomia. Premesso che non mi appassionano le discussioni, anche dotte, su canone e generi, devo dire che un romanzo non dovrebbe essere letto altro che come un romanzo, qualunque sia l’etichetta che, frettolosamente gli si affibbia, e, dunque, deve essere considerato sotto l’aspetto dello stile e della scrittura dell’autore, il quale, per buona sorte, sempre tende a violare le prescrizioni “territoriali” dei generi e delle etichette. Sono convinto che l’attuale fortuna del “noir” (in letteratura, nel cinema e nel fumetto d’autore) possa anche stimolare un desiderio di indipendenza dello stesso “noir” dal “giallo”, circostanza che ha spinto anche alla creazione di blog e siti web (ad esempio Urbinoir) sui quali non si è troppo teneri nei confronti di chi considera il territorio del “noir” con sussiego e un po’ di sufficienza accademica. Oggi si parla molto del “noir mediterraneo” e di alcune condizioni o caratteristiche che ne delimitano i confini possibili e lo distinguono dal “giallo”, anche se occorre sempre tener presente la mobilità di quelle delimitazioni e le ibridazioni, tante e sempre molto interessanti.

Partiamo da un dato che pare ormai acquisito, come scrive l’americanista Alessandra Calanchi in <urbinoir.uniurb.it>: il “noir è più che altro una questione di atmosfera, di luoghi, di mood. In esso non è in primo piano il crimine e neppure la detection , la ricerca del colpevole, né il brivido, né il sangue, il “noir” non si accontenta di narrare una storia, ma cerca di trasmettere odori, sapori, suggestioni sui risvolti anche psicologici di un delitto che, forse, tutti potrebbero commettere in un momento particolarmente teso della loro vita, magari in circostanze di esclusione e difficoltà, forse non nelle metropoli in cui il “giallo” classico è nato e si è ambientato (la Londra di Conan Doyle e di Sherlock Holmes, la Parigi di Simenon e di Maigret o l’America di Chandler e di Philip Marlowe e di Hammett, l’autore de Il mistero del falco, da cui venne tratto un celebre film con Humphrey Bogart), ma nelle periferie sociali scomode e degradate del nostro mondo mediterraneo (Fernand Braudel è il padre di questi sguardi storici della scuola delle “Annales”). Non c’è lieto fine nel “noir”, l’equilibrio rotto da un delitto non si ricompone mai come se nulla fosse avvenuto, dopo la scoperta del colpevole (la sua eventuale condanna è un discorso ben diverso e attiene alle problematiche dell’amministrazione della giustizia): il “noir” non punta a questo (o non solo a questo), ma è una sorta di sguardo grandangolare sul sociale, per dirla con la mia collega Alessandra Calanchi dell’Università di Urbino, di cui ho parlato prima. Il “noir” non vuole creare compassione e tanto meno un sospiro di soddisfazione per lo scampato pericolo, non tende a rassicurare, vuol essere, invece, un’occasione, per il lettore, di pensare a quanto accade ogni giorno intorno a noi e dentro di noi: il crimine come parte eclatante di un complesso meccanismo sociale in cui contano anche i drammatici problemi legati alle connivenze tra la parte marcia della politica e la criminalità organizzata, il mondo degli affari miliardari legati allo smaltimento dei rifiuti, all’ecomafia, alla speculazione edilizia, alla sanità negata e violentata da interessi personali, al triste commercio dei clandestini, alle dimensioni ormai mondiali di un esodo forzato legato agli effetti di lunga durata del colonialismo e dell’imperialismo, concetti che ormai latitano nel nostro stantio dibattito politico.

Dunque, non ci sono eroi nel “noir”, altra caratteristica fondamentale, ma solo uomini cha fanno il loro dovere di semplici cittadini o di componenti delle Forze dell’Ordine, senza troppe illusioni su come andrà a finire la loro fatica. In altri termini, il “noir” arriva dove il “giallo” si arresta, almeno ciò emerge non appena ci si immerga nel mondo del grande “noir” che alcuni chiamano anche “mediterraneo”, richiamandosi anche a una storia che, sulle rive del Mediterraneo ha visto anche nascere grandi capolavori della letteratura che si potrebbero anche rileggere, come qualche studioso fa, proprio alla luce delle considerazioni fatte prima. Dalla Bibbia (che inizia con un fratricidio e dunque con un crimine) ai poemi omerici, straordinari esempi di poesia epica, ma anche autentici repertori di sangue e di atrocità (come ogni guerra) Perfino l’Odissea inizia con le sinistre fiamme dell’incendio di Troia e dell’eccidio di donne e bambini e si conclude con una feroce strage di vendetta e di orgoglio smisurato, su cui neppure gli dèi possono fare nulla. Qualcuno potrà dire che qui si tratta di esagerazioni, magari originate, in critici tuttavia intelligenti, preoccupati di trovare conferme a loro tesi, ma bisogna riconoscere un certo fascino a tali suggestive argomentazioni.  E allora l’aggettivo “mediterraneo” cerca di spiegarci la qualità di quello sguardo nel quale la violenza, innegabile, si lega inestricabilmente alla bellezza di uno spazio mediterraneo in una narrazione alla Braudel, in cui aspetti letterari e culturali si legano a realtà storiche territoriali in una sequenzialità di grande respiro e durata. Anche la letteratura, nel corso dei secoli, a poco a poco, si spingerà fino ad indagare, come scelta di campo, lo spazio sociale e psicologico dove può nascere il crimine e autori come Dostoevskj, Poe, Stevenson, Dickens possono dirci molto su questo. Non vi voglio tediare troppo, così, facendo leva, sulla mia stessa vicenda di lettore e di critico, non posso non citarvi le incursioni pirandelliane nel territorio mentale della rivolta contro la banalità e la crudeltà del “buon senso” e Leonardo Sciascia, figura centrale in questa storia, con la sua implacabile ricerca della verità in una società corrosa dalla mafia e la appassionata  sua immersione nella malattia e nella morte, in cui naufraga ogni speranza di giustizia e di verità fino al “cancello della preghiera”.                     

Ma venendo ai nostri giorni, devo farvi alcuni nomi importanti, innanzitutto i romanzi di Albert Camus e la saga marsigliese di Jean-Claude Izzo, il greco Petros Markaris, creatore del commissario Kostas Charitos, il grande Manuel Vasquez Montalban della Barcellona di Pepe Carvalho, del cibo sulle ramblas,  gli italiani Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo e Gianrico Carofiglio (autore anche di un graphic novel Cacciatori nelle tenebre, insieme al fratello Francesco),  Andrea Camilleri (solo in parte apparentabile col “noir”) e molti altri di cui non posso qui farvi i nomi. In tutti questi autori, pur con le debite differenze, esiste un tratto che li accomuna: sono tutte creazioni letterarie in cui viene accentuata l’ambiguità, l’incerta linea di confine tra bene e male, in un intreccio opaco tra interessi criminali e complicità “legali”, la medesima difficoltà di noi lettori comuni ad orientarci in un mondo spesso fatto di omissioni, latitanze, connivenze a livello ormai planetario, nel mondo globale in cui ci troviamo a vivere. Il nostro mondo “mediterraneo”, per continuare a muoverci illustrando l’aggettivo, vive un forte dualismo tra valori forti della nostra identità “mediterranea” (cibo, convivialità, ospitalità, solidarietà, atmosfere azzurre di mare e di vento forte) e violenza, corruzione, avidità e sopraffazione, da cui siamo circondati.

Tirando le somme, premettendo che alcuni critici, come Stefano Priarone, pensano che nel “noir non esistono vere vittorie, e a volte l’obiettivo è soltanto una dignitosa sconfitta, come capita spesso nella vita”, potrei indicare alcuni “porti” lungo questa rotta mediterranea in cui fare scalo, sempre con le debite differenze di stili e di risultati artistici.

  1. Ambientazione legata alle narrazioni e alla geografia mediterranea
  2. Riferimenti al mondo familiare di detective che possono essere figure professionali, anche investigatori privati, o semplici cittadini coinvolti in situazioni difficili
  3. Antieroicità dei personaggi e loro quotidianità
  4. Critica sociale nei modi prima descritti
  5. Localizzazione (non più solo nelle metropoli, ma in una miriade di situazioni territoriali e dei mondi nei quali si esplica il nostro vivere quotidiano).
  6. Devo aggiungere, almeno per me, l’insegnamento importante di Pirandello, un vero antesignano nella discesa nelle profondità del cuore umano e nella messa in crisi del feticcio del “fatto” (mi fanno sorridere quanti dicono “fatti e non opinioni”, dimentichi della piccola circostanza per cui non esistono che opinioni): “Un fatto è come un sacco: vuoto non si regge. Perché si regga bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato”.

La letteratura, anche e soprattutto quella che io cerco di praticare, non indugia a descrivere fatti truci, non si dilunga in piacevolezze dialettali, senza alcun preventivo rifiuto della espressività ineguagliabile delle nostre parlate territoriali, cerca solo di comprendere ciò che si agita nel manzoniano guazzabuglio del cuore umano, in un momento particolarmente crudele e tormentato della storia del nostro pianeta. Mi accorgo, ora, di aver parlato quasi soltanto di ciò che mi sta dentro, dei tanti libri che ho letto, dei pochissimi che mi hanno davvero colpito, insomma di ciò che tento di scrivere, ricordandomi sempre di quanto dice Claudio Magris, quando raccomanda di intingere sempre la penna nell’umiltà e nell’autoironia.

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Recensione di Non e’ un mestiere per uomini

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Dal blog  di Valerio Calzolaio una breve recensione

Anna Katharine Green
Non è un mestiere per uomini. I primi tre casi di Violet Strange
Marsilio Venezia, 2019 (orig. americano 1915)
A cura (e traduzione) di Alessandra Calanchi
Con una nota di Giuseppina Torregrossa

L’americana Anna Katharine Green (1846-1935) è stata una delle più grandi scrittrici del genere mistery, noir, policier, kriminal, giallo. Finalmente! Era proprio ora di riscoprirla ed è così che andrebbero sempre pubblicati testi letterari non contemporanei!

per leggere l’articolo 

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Aperte le Iscrizioni per Tradunoir

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Aperte le iscrizioni per partecipare al concorso Tradunoir, traduzione letteraria di narrativa noir, per gli studenti dell’Università di Urbino e possibilità per i vincitori di pubblicare per Delos Digital.

Si comunica che la scadenza per iscriversi a Tradunoir viene spostata al 30 Maggio 2018.

 

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CRONACHE DA GIALLOGARDA 2017

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Si è svolta il 14 e 15 ottobre nell’atmosfera calda e stimolante della Cantina Marsadri a Raffa di Puegnago sul Garda la nuova edizione del Festival GIALLOGARDA, che ha radunato grazie alla mitica Laura Marsadri scrittori, giornalisti, studiosi e un folto pubblico di lettori e lettrici appassionati di giallo. Fra un calice di “Pioppo Rosso” e un libro da sfogliare con curiosità, è stato possibile toccare con mano la qualità non solo dei vini (molto alta!) ma anche delle opere letterarie, sia quelle in gara (quest’anno nella sezione inediti vinta dal L’autista di Dio di Giada Bredeschi) sia quelle in esposizione. E’ stato così che, accanto al mercatino di originalissimi ciondoli fatti a libro (l’artista è Ylenia Bagato) ho trovato alcuni romanzi molto interessanti e ne voglio segnalare soprattutto due, entrambi di Todaro Editore, giallissimi fin dalla copertina, aperta la quale si ha subito la conferma che si tratta di prodotti d.o.c.g.: la collana è infatti diretta da Tecla Dozio – l’inchino è d’obbligo. E’ infatti uscito in questa collana sia il bel libro vincitore della scorsa edizione di Giallogarda (sezione editi), Come bestie ferite di Luca Bonzano, sia il recentissimo I bambini di Escher di Paolo Pedote. “Questo è il suo primo noir”, avverte il bio-blurb in quarta di copertina, una frase che ha innescato la mia (scettica) curiosità. Sì, perché è facile etichettare un libro come ‘noir’, più difficile è mantenere la promessa. Invece, il romanzo di Pedote non tradisce le aspettative: è pur vero che pare attingere dalle serie tv inglesi e americane da Barnaby a Major Crimes (incesto, traffico di bambini, ecc.), ma l’atmosfera rarefatta, il ritmo incalzante, il labirinto di sottotrame e la fragilità dissimulata degli ‘eroi’ ci convincono subito. E’ vero, siamo di fronte a un noir, e lo dico alzandomi in piedi in segno di rispetto.  Ho amato soprattutto le frasi che risuonano con quelle dei grandi autori del noir (e con le similitudini del Maestro, Chandler) – “sapeva che quelli come lei tornano sempre” … “Era matematico, era l’unica certezza che aveva”… “come gli scarafaggi quando li illumini con la torcia” … “guardava silenzioso quel duetto, finto come i soldi del Monopoli” …  e ho adorato i quadretti amari che strappano un sorriso – l’islamico che sorseggia Coca Zero, la mozzarella avariata del discount, la tipica coppietta del centro commerciale, i baby-pirla, i cyber-poeti, i parkouristi e i graffitari. Un mondo fantasmagorico – che noi ben riconosciamo come la nostra realtà quotidiana – in cui si muove il protagonista, Nerone, noir fin dal nome: un uomo malato di “fuga dissociativa”, che cerca di ricostruire un passato troppo doloroso con l’aiuto di una psichiatra (anche qui non possiamo ignorare gli ammiccamenti a Memento e The Mentalist) e che a sua volta cerca di aiutare una poliziotta, anzi una “sbirra” che della dark lady è l’erede ibrido più interessante degli ultimi anni (forse persino della mia amata guerrera di Marilù Oliva). Nerone è la quintessenza del tough guy, l’ultimo distillato, o meglio quel che ne resta nell’attuale disgregazione identitaria e sociale: un duro la cui dolcezza emerge a tratti, come nella scena straordinaria in cui lui e un buttafuori di colore – più duro ancora di lui – parlano della defunta Alicia, tossica e depravata, con una rara delicatezza di cui la maggior parte dei maschi ‘perbene’ (nella letteratura e nella realtà) non sarebbe capace. Nerone non ricorda nulla e nessuno: la Shoah, Shakespeare, Leopardi, Sherlock Holmes – i quattro pilastri della nostra cultura occidentale o, di nuovo, di quel che ne resta – non gli dicono alcunché. Diventa così lui stesso tabula rasa, pagina bianca su cui Pedote scrive la sua storia. Il cui titolo è legato a una fotografia che a poco a poco si rivela essere il principale indizio – e il bandolo della matassa – della storia: Escher ci dice infatti non solo che la realtà è enigmatica ma che l’arte può rappresentare ciò che in natura è impossibile. Di qui la poetica implicita nel romanzo (che come avverte il narratore non è un romanzo di Ellroy), che fa l’occhiolino alla scena degli specchi ne La signora di Shangai di Welles ma anche all’Inquilino del terzo piano di Polansky, e anche in un certo senso all’assioma holmesiano secondo cui una volta eliminato l’impossibile quel che resta, per quanto improbabile, deve pur essere la verità. Ma il noir può davvero eliminare l’impossibile? O aspira piuttosto a inglobarlo, a farlo proprio per poi trascenderlo, pur nella sacrosanta esclusione del soprannaturale? Pedote ci regala un vero gioiellino che, forse, risponde a questa domanda.

a.c.

Laura Marsadri – La signora in giallo

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