Rapkoka di Gianluigi Schiavon

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Ci sono scrittori che scelgono il noir come via breve al successo. E che poi, una volta scoperto il filone, ripetono la formula senza raggiungere più l’eventuale originalità del primo tentativo. Di sicuro Gianluigi Schiavon non è tra questi. 

Rapkoka, “viaggio sentimentale attraverso cinque delitti” (Giraldi Editori 2019) rimette in scena il commissario Lucien Bertot (già conosciuto ne La fuga (2015) in una nuova quest che lo vede accanto al figlio. Non sarà un caso: Schiavon, anni fa, era impegnato in prima linea a difendere la categoria dei padri separati (Il bambino del mercoledi, 2008). E lo fa con uno stile impeccabile che oscilla dall’hard-boiled alla poesia – e neanche questo è un caso: Schiavon è autore dell’efficace Colpi bassi (sul ring e nella vita) (2012) ma anche del suggestivo e fiabesco A Bologna c’era il mare (2016).

Insomma, ci troviamo di fronte a un enigma: stiamo parlando dell’ennesimo giallo-noir, o stiamo parlando di uno scrittore che, piano piano, sta entrando nella Letteratura italiana? Le due cose, ovviamente, non si escludono.

Ma poiché siamo Urbinoir, limitiamoci al noir.

E questo è un noir straordinario. Abbiamo un poliziotto irriverente che si commuove. Abbiamo metafore alla Chandler. Abbiamo un’introspezione psicologica stringente, una capacità vertiginosa di sintonizzarsi col lettore e non lasciarlo più andare. Alla fine del primo capitolo, siamo già acchiappati.

Il romanzo si snoda tra Francia, Oslo e Londra. Anche questo ci dà un istante di sollievo. Scusate l’eresia, ma non cominciate un po’ a stancarvi del noir mediterraneo, dei noir ambientati per forza nelle città italiane?

Chi conosce Schiavon, ha la fortuna di poter leggere il libro immaginando di ascoltarlo letto da lui, con la sua voce e il suo accento lievemente (piacevolmente) bolognese, col suo sorriso contagioso che fa autoironia una riga sì e una no. (Schiavon non ha idea del suo talento. O forse sì, ma la sua modestia lo sovrasta. Speriamo che se ne accorga qualcuno. Noi, ce ne siamo accorti.) Chi non lo conosce, può cominciare dal libro che vuole. Non è obbligatorio mettersi in pari con La fuga, ma se leggete questo, poi cercherete anche quello. E viceversa. Perché amiamo Bertot. Perché siamo tutti Bertot.

a.c.

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