La sicurezza della Rete

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Ho avuto il piacere di partecipare ad alcuni degli incontri previsti dal programma di Urbinoir e sono rimasta particolarmente colpita dalle riflessioni effettuate sulla sicurezza informatica e sull’approccio alla realtà virtuale connesso al rischio che ne consegue. A tal proposito, mi è sembrato interessante il discorso condotto dall’ospite Chiara Bigotti, il 25 novembre. Chiara, laureata in Giurisprudenza, prendendo spunto dalla mitologia greca, ha parlato di “Le fatiche di Sisifo: Diritto penale e sicurezza della Rete e delle informazioni”. In un mondo in cui internet è considerato come un mezzo che concede la possibilità di accedere ad infinite fonti di sapere, che crea nuove forme di comunicazione (centro di socialità) e che sembra non conoscere crisi a livello economico, la sicurezza informatica è fondamentale. Dal punto di vista giuridico, tale sicurezza è vista come un interesse collettivo, ossia come la capacità di una rete o di un sistema di resistere a eventi imprevisti o dolosi (ciò che chiamiamo resilienza). Una rete, per poter essere sicura, deve, in primo luogo, garantire che i dati siano conosciuti e trattati solo da chi ne ha diritto (confidenzialità delle informazioni) e dare la possibilità ad ognuno di accedere ai propri dati quando ciò viene richiesto. I costi per mantenere tale sicurezza sono piuttosto elevati e, per questo, sono stati definiti come una tassa sull’innovazione. Commettere un reato in rete è estremamente facile e non esiste un sistema efficace per selezionare la mole di contenuti illeciti presente. Inoltre, non sono da sottovalutare i conflitti di interesse a cui seguono attribuzioni pericolose di poteri. Pertanto, negli ultimi anni, si è alla ricerca di un modello alternativo che vede la sicurezza informatica come un bene non rivale (più utenti possono utilizzarla senza che l’uso da parte di uno diminuisca l’utilità per altri) e come un bene non escludibile. Si suggerisce un modello di gestione condivisa del rischio-reato e si delinea un sistema preventivo che prevede l’abolizione di misure di sicurezza sia nelle istituzioni pubbliche che private. Si fa riferimento, in particolare, all’autoregolamentazione regolata, che affida ai privati il compito di individuare concretamente le misure ed utilizzarle. Attraverso tale ricerca effettuata da Chiara, ho avuto la possibilità di conoscere alcuni dei lati oscuri di una presenza ormai fondamentale nella nostra vita, quella di Internet. Spesso, oggi, le persone non sono coscienti del potere che ha la rete di fronte ai dati che vi inseriamo all’interno e, soprattutto, delle violazioni della privacy e degli attacchi informatici a cui si può essere sottoposti. Per questo motivo ho apprezzato l’intervento di Chiara: mi ha permesso di entrare in contatto con il rischio di violazione della sicurezza della rete da un punto di vista che cerca di intervenire per evitare e punire i reati commessi in rete, quello giuridico. Nella giornata del 27 novembre ho, poi, preso parte all’incontro con Luca Crovi e Michael e Daniela Gregorio condotto da Salvatore Ritrovato. Qui ho avuto la possibilità di approfondire un tema già largamente trattato nel corso di letteratura spagnola del professor Darconza. Si è infatti parlato del concetto di noir, il quale, a differenza degli altri generi, presenta un rapporto diretto tra scrittore e lettore. Inizialmente, gli scrittori di tale genere venivano considerati autori di poca importanza e i loro testi venivano censurati durante i totalitarismi, a causa della presenza di denunce sociali e dell’esigenza, in generale, di raccontare una realtà. Il concetto di noir derivato dalle copertine nere francesi e, soprattutto, dal cinema noir americano sviluppatosi negli anni 40 e 50, viene oggi denominato “giallo”, a partire dal colore della copertina di Mondadori che diventa, così, un segno distintivo del romanzo poliziesco. Rispetto al genere noir e di tutto ciò che tale termine comporta, ho trovato fondamentale l’intervento di Michael e Daniela Gregorio che, con grande disponibilità ed un pizzico di ironia, hanno espresso la loro opinione su questioni sollevate durante l’incontro. In particolare, Daniela ha affermato di considerare la Bibbia come il primo noir in assoluto, a partire dalla storia di Caino e Abele. Secondo il suo punto di vista, i lettori nutrono una grande fascinazione nei confronti del male, nei testi che riguardano il quale la lettura viene portata avanti alla ricerca di qualcosa, di chi ha fatto quel qualcosa e del perché lo ha fatto. Daniela e Michael, con la loro grande passione per i romanzi gialli, hanno sempre avuto l’ambizione di scrivere ma, inizialmente, nessuno sembrava apprezzare il loro contributo al genere. Un giorno emerse l’idea di Daniela di scrivere un libro basato sulla relazione tra il filosofo Kant e il suo maggiordomo Lampe, considerati due pazzi, da cui ebbe inizio una saga composta da quattro libri, uno dei quali non ancora tradotto in italiano. Michael e Daniela, a fronte di un’esperienza o in seguito ad aver visto o sentito qualcosa che suscita la loro attenzione, scrivono una storia, descrivono personaggi che vengono arricchiti nel corso del tempo, creano una trama che verrà successivamente modificata per creare dei colpi di scena straordinari. Interessante è notare come entrambi scrivano la stessa parte di una determinata trama prima che essa vada a costituire una parte integrante del loro testo. Un altro elemento che ha attirato la mia attenzione, poi, è il fatto che Daniela scrive spesso in cucina. Ogni scrittore, infatti, dichiara di avere distinte condizioni favorevoli alla scrittura: alcuni, come Camilleri, preferiscono scrivere in un luogo affollato, altri in macchina, altri ancora completamente isolati dal mondo: insomma i romanzi sembrano nascere nei luoghi e nelle condizioni più disparate. Ilaria Bucchi

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